La vera storia di Superga

4 Maggio 2019 di Stefano Olivari

Settant’anni fa a Superga scompariva il Grande Torino, una delle più grandi squadre italiane di tutti i tempi, con i suoi fuoriclasse (Valentino Mazzola e Virgilio Maroso quelli assoluti) e gli altri campioni che facevano sognare l’Italia del Dopoguerra quasi come Coppi e Bartali. La retorica delle celebrazioni non cancella però i tanti misteri su quella tragedia.

Tuttora infatti non è chiaro se l’atterraggio alla Malpensa fosse stato previsto nel piano di volo originario o fosse stato consigliato dal comandante (di nome Meroni…) viste le cattive condizioni atmosferiche di quel maledetto pomeriggio del 4 maggio 1949. Di sicuro la Malpensa fu evitata su pressione dei passeggeri, ovviamente non possiamo sapere di chi.

La prima parte di quella giornata è nota. Il Torino era partito in mattinata da Lisbona, dove aveva giocato con il Benfica la partita di addio del suo capitano, Pereira, amico di Valentino Mazzola. Il volo era un charter e l’aereo era quasi nuovo, un Fiat G.212 con la strumentazione più moderna possibile (primo mistero: tutti e tre gli indicatori di altimetria risultarono tarati bene, o almeno così si disse per evitare cause miliardarie). Scalo a Barcellona verso la una, per fare rifornimento, con saluto casuale ai giocatori del Milan in viaggio per un’altra amichevole di fine stagione. Alle due la partenza verso l’Italia. Rotta Tolone-Nizza-Albenga-Savona.

Probabilmente quindi l’ipotesi Malpensa era già stata scartata, a prescindere dal tempo: la destinazione fu verso lo scalo di Torino-Aeritalia (non Caselle, che sarebbe stato costruito qualche anno dopo). Tempo discreto almeno fino all’entrata in Piemonte, poi il peggioramento che consigliò di stare relativamente bassi (2.000 metri) e infine i contatti con Torino, che senza mezzi termini comunicò all’equipaggio la quasi totale assenza di visibilità in ogni direzione. A questo punto, a prescindere dal piano di volo, qualunque comandante avrebbe fatto rotta su una destinazione più sicura, ma non sapremo mai cosa sia successo per indurre Meroni a rischiare tantissimo per arrivare a Torino. Quando non c’era alcuna fretta, oltretutto. La certezza assoluta è invece che lo scalo avrebbe dovuto essere chiuso, imponendo quindi così un’altra destinazione agli aerei in arrivo.

Un’ipotesi accreditata, che Gianni Brera mise nero su bianco solo molti anni dopo, è che la priorità fosse quella di evitare i controlli doganali di Malpensa, preferendo quelli inesistenti di un aeroportino privato. Senza pensare troppo male è probabile che sull’aereo ci fosse in contanti una grossa somma, come minimo l’ingaggio della partita con il Benfica. Ma davvero i doganieri si sarebbero messi a frugare nelle borse del Grande Torino? Le squadre di calcio, anche in epoca moderna, riescono a far passare cose incredibili, quindi figuriamoci soldi in una busta.

Certo è che il comandante Meroni poteva rifiutarsi di puntare su Torino, ma la storia è piena di voli privati condotti in situazioni anche più pericolose. Le pressioni del ricco della situazione battono quasi sempre il buon senso, poi ci ricordiamo solo di Superga e non delle migliaia di atterraggi riusciti per un soffio.

Qual è dunque la vera storia di Superga? Non la sapremo mai. Certo dal punto vista mediatico e della convenienza personale viene più facile scrivere di eroi rapiti in cielo dagli Dei invece che di evasione fiscale.

Doveroso invece collocare il Grande Torino nella storia del nostro calcio: era in pratica quasi tutta la Nazionale italiana in un’epoca con pochi stranieri, situazione paragonabile a quella della Juventus della seconda metà degli anni Settanta-primi Ottanta. Impossibili i confronti internazionali, che negli anni Quaranta si riducevano a poche amichevoli di club e alle partite della Nazionale, con l’Italia basata sul Grande Torino che quel poco lo fece bene (tranne che con l’Inghilterra). Ma il mito non ha bisogno di statistiche, né tantomeno della verità.

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