La pallacanestro di Gianni De Michelis

11 Maggio 2019 di Stefano Olivari

Gianni De Michelis è morto e con lui scompare un protagonista assoluto della politica italiana degli anni Ottanta, un uomo che non ha bisogno di presentazioni. Ministro delle partecipazioni statali, del lavoro, degli esteri e tanto altro, soprattutto volto di un partito socialista che grazie a Craxi si era dal 1976 smarcato dalla tutela e dalla tristezza di quello comunista.

Di sicuro ci sarà qualcuno che ricorderà De Michelis soltanto per qualche foto in discoteca, ma a noi viene in mente prima di tutto una grandissima occasione persa, quella della socialdemocrazia all’italiana. Che oltre vent’anni più tardi avrebbe provato a riproporre Renzi, trovandosi contro gli stessi nemici e e gli stessi giornalisti (esclusi i morti).

Nel nostro orticello sportivo e anni Ottanta De Michelis è invece stato soprattutto presidente della Lega Basket, nel momento di massimo successo mediatico ed emotivo della pallacanestro italiana. Quando nel 1984 ci fu da scegliere il successore di Luciano Acciari i club di A1 e A2 (all’epoca la lega era unita e i giornali politici pubblicavano i tabellini anche delle partite di A2 mentre adesso si trovano a fatica i risultati della A) scelsero quasi all’unanimità, 29 voti su 32, l’allora ministro del lavoro De Michelis.

Che nonostante il poco tempo a disposizione e l’esperienza sportiva nulla fece molto bene, dando ragione ai lungimiranti dirigenti (Porelli, Gabetti, Bulgheroni, Scavolini) che avevano intuito la necessità di trovare uno bravo nel trovare sponsor e nello spuntare buoni contratti televisivi. Sembrerebbe un ragionamento scontato: cos’altro dovrebbe fare un dirigente di Lega? La storia successiva avrebbe però detto altro.

De Michelis si fece strumentalizzare volentieri, in fondo lo sport offriva sempre visibilità a costo quasi zero, mettendo tutto il suo potere al servizio della costruzione di impianti, del reperimento di sponsor anche su base locale ma soprattutto della gestione dei rapporti con la RAI. Mettendo a segno nel 1988 un colpo storico: dalla RAI per la Lega 50 miliardi di lire, 10 all’anno, per i campionati dal 1988 al 1993. Nemmeno per tutte le partite, del resto nell’era pre-web non si sarebbe saputo dove trasmetterle, ma per una quarantina a stagione fra A1 e A2, spesso nemmeno intere.

Insomma, una valanga di soldi (in termini reali sarebbe più del quintuplo di quanto la pallacanestro italiana incassa oggi dalle tivù, tutto compreso) ma che all’epoca, ed è questa la cosa interessante, fu considerata credibile perché la pallacanestro sembrava avere margini di sviluppo oggi inimmaginabili e molti, non pazzoidi o visionari ma i suoi migliori dirigenti, pensavano in prospettiva di poter fare concorrenza al calcio della media serie A, quello di Fiorentina e Sampdoria.

Quel treno è passato e non tornerà, non per i contratti televisivi ridotti ma semplicemente perché la pallacanestro italiana, pur avendo in sostanza mantenuto il pubblico ‘fisico’ dell’epoca (i dati sono chiari) e un buon radicamento locale, ha perso quella capacità di generare discussione nel pubblico generalista e quindi interesse negli sponsor di grossa cilindrata. Vedere il festival degli sconosciuti, per tacere del livello tecnico, è una cosa per tossici (come noi) o per supertifosi, inevitabilmente la minoranza della minoranza. Il bar, se vogliamo, si è un po’ spostato sulla NBA, ma stiamo evidentemente parlando di un’altra cosa.

Fra le tante cose da rimpiangere dell’Italia degli anni Ottanta non c’è di sicuro la politica, base del dissesto finanziario che stiamo pagando e pagheremo, oltre che di una retorica europeista che è rimasta immutata, ma Gianni De Michelis era di sicuro uno di serie A.

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