Falcone è vivo, Orlando no

23 Maggio 2019 di Indiscreto

Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicilllo e Antonio Montinaro sono le vittime della strage di Capaci, il 23 maggio del 1992. In un’Italia che seguiva l’evoluzione della situazione con la pagina 101 del Televideo, noi almeno facevamo così. Senza poter influire sul corso della storia, come del resto accade con il web.

Oggi, alla commemorazione, fra le varie assenze ha fatto rumore quella di Leoluca Orlando. Cos’avrà avuto il sindaco di Palermo di più importante da fare che presenziare alla commemorazione di Falcone? La mezza giustificazione di non voler partecipare a un Salvini show regge poco, considerati i precedenti di Orlando.

Già sindaco di Palermo a metà degli anni Ottanta, nelle fila della Democrazia Cristiana siciliana degli anni Ottanta. Un giovane Orlando che sul finire del decennio iniziò ad accusare diversi magistrati della Procura di Palermo di insabbiare le indagini sui rapporti fra politica e mafia. Le posizione di Orlando nasceva dal giudizio di scarsa credibilità che Falcone aveva dato di alcuni pentiti, il famoso Pellegriti ma anche altri. Memorabile una puntata di Samarcanda (la trasmissione di Santoro, all’epoca su Rai Tre, dieci nomi fa) in cui Orlando accusò la Procura e quindi Falcone di tenere chiuse le indagini nei cassetti. In altre parole, questo il messaggio arrivato a noi telespettatori, Falcone stava proteggendo Andreotti e Lima. Nella memoria anche una puntata agghiacciante del Maurizio Costanzo Show di qualche tempo dopo, con Falcone presente sul palco e trattato come un imputato…

Da lì iniziò un martellamento mediatico (leggevamo Repubblica, a volte addirittura l’Unità prima che Michele Serra diventasse autore di Fabio Fazio), con interviste di Orlando praticamente quotidiane in cui ribadiva lo stesso concetto. Da sottolineare che nel frattempo Orlando si stava sganciando dalla impresentabile DC (ma lo era anche quando era stato fatto sindaco) siciliana per fondare La Rete, movimento di centro-sinistra che sarebbe durato quasi una decina d’anni, e quindi il suo spazio mediatico se lo conquistava alzando sempre di più il tiro.

La risposta di Falcone fu sempre la stessa: “Rifiutiamo di fare politica attraverso il sistema giudiziario. Se Orlando sa qualcosa, faccia i nomi”. Più o meno le stesse parole che il magistrato palermitano pronunciò di fronte al CSM nell’ottobre del 1991, CSM che lo aveva convocato in seguito ad un esposto di Orlando. Essendo impossibile rimanere a Palermo in quel clima, Falcone accettò la proposta di Claudio Martelli di dirigere la sezione Affari Penali del ministero di Grazia e Giustizia. Il Partito Socialista Italiano era (ed è rimasto, nei luoghi comuni, mentre esiste qualcuno che rimpiange DC e PCI) per la maggior parte dei giornalisti l’emblema del male e Falcone dal punto di vista mediatico non fece quindi un buon affare. Però Martelli fu un eccellente ministro, smarcandosi anche dall’ombra di Craxi.

Chi ha una certa età ricorda i dibattiti roventi sul ruolo del super-procuratore, che molti magistrati vedevano come un misto di magistrato e politico arrivando addirittura a scioperare contro Falcone (!). Una stupidaggine colossale, come avrebbe poi dimostrato la storia della Procura Nazionale Antimafia, diventata operativa pochi mesi dopo Capaci, una delle vere eredità di Falcone.

Meglio che Orlando sia rimasto a casa sua, quindi. Tanto Falcone è vivo, simbolo dello Stato italiano nel senso più alto (e non retorico, basta ascoltare le sue interviste) dell’espressione.

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