De Rossi e il momento di smettere

15 Maggio 2019 di Indiscreto

Daniele De Rossi buono, James Pallotta cattivo. Le cose non stanno proprio così, ma questo è il prodotto mediatico dell’annuncio del capitano della Roma. Che il 26 maggio con Roma-Parma saluterà l’Olimpico e poi forse, a 36 anni, proverà ad indossare la quarta maglia della sua vita dopo quelle dell’Ostiamare, della Roma e della Nazionale.

Il punto di partenza della vicenda è che De Rossi è come calciatore al capolinea. Come è logico che sia, alla sua età e dopo tante battaglie vissute da protagonista. In questa stagione si è letteralmente trascinato per il campo, nelle poche (meno della metà) partite che è stato in grado di giocare, ed il resto della squadra non lo ha certo aiutato.

Il secondo punto importante è che De Rossi non è stato accompagnato all’uscita, come fu due anni fa per Totti, ma gli è stato offerto un ruolo da dirigente e addirittura con poteri effettivi, di poco sotto l’amministratore delegato Fienga e molto sopra gli attuali compiti (nessuno, come ha osservato fra le righe lo stesso De Rossi) di Totti, che dirigente lo è in virtù del vecchissimo accordo con Rosella Sensi. De Rossi ha in testa di fare l’allenatore (questo nella conferenza stampa d’addio non lo ha però detto), in ogni caso alla Roma qualunque dirigente viene sistematicamente delegittimato da scelte prese da lontano, da Pallotta e Baldini. Se adesso De Rossi accettasse di fare l’allenatore della Roma, cosa che peraltro non gli è stata mai proposta, sarebbe soltanto una utile foglia di fico romana e romanista sul tirare a campare degli americani. Come fumo da ‘progetto’ il candidato numero uno è Gasperini.

Il terzo punto da sottolineare è che in un anno e mezzo Pallotta, l’idolo dei giornalisti da stadio di proprietà merchandising asiatico, e l’ormai lontano Monchi, l’idolo dei nerd che sognano squadre costruite con la sabermetrica, alla Moneyball de’ noartri, con i bei consigli di Baldini da Londra, hanno distrutto la Roma del mestierante Sabatini: dall’estate 2017 venduti bene Alisson, Rudiger, Salah, Strootman, Nainggolan, Mario Rui, Emerson Palmieri, Paredes, eccetera, con una serie di acquisti fra il folle (Pastore su tutti) e la scommessa.

Una squadra che due anni fa con Spalletti allenatore era a fine campionato a soli 4 punti (e a un giocatore di alto livello) di distanza dalla Juventus di Allegri finalista in Champions e che già l’anno scorso era scivolata a meno 18, adesso è a meno 27 e non sembra avere un presente. Però vuole vendere ai tifosi un futuro nebuloso, con sempre meno romani-romanisti (ormai soltanto i due Pellegrini e lo scontento Florenzi) e zero ambizioni. I tempi sono davvero maturi per un cambio di proprietà, in attesa del ritorno di De Rossi.

Conclusione? Quasi nessuno, dal più modesto degli impiegati al più grande dei calciatori, passando per tante altre professioni, ha l’intelligenza necessaria per smettere al momento giusto. Occorre sempre qualcun altro che te lo dica.

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