Un Adani per Pianigiani

29 Aprile 2019 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal castello marsigliese d’If dove il conte di Montecristo preparava la sua vendetta ascoltando bene l’abate Faria. Una rocca triste dove ci sarà il raduno di tutti quelli che agitano la coda se parli bene di loro, ma diventano feroci se li critichi.

Nella stessa riunione anche le mamme, gli amici increduli dei ragazzi sadici di Manduria, che non immaginavano, non pensavano, un po’ come quelle degli aguzzini nei lager, o dei parenti speriamo non troppo stretti di quelli che hanno portato fiori sulla tomba del boia di Bolzano, che hanno spaccato lapidi, che hanno capito troppo tardi di aver dato da mangiare a piccoli mostri.

Ci sarà una riunione anche per gli uomini di sport che non tollerano le critiche, neppure di quelli che  hanno praticato da professionisti la loro disciplina. E la vicenda Allegri-Adani, finita con il capitone di Caccamo dal Fazio per tutte le stagioni, ci fa capire che è davvero venuto il momento per starli soltanto a guardare. Senza disturbare i manovratori. Se non ti menano loro arrivano presto i rinforzi. Guai a voi se criticate chi vince tanti scudetti, smettetela di cercare peli nell’uovo. Voi dite potenti coi deboli, in Italia per calcio e basket è così da quando la Juventus ha staccato tutti per organizzazione, risorse, scelte, da quando Armani ha deciso che la società inventata da Bogoncelli era patrimonio della città come la sua arte e i suoi silos splendidi e splendenti.

Il filotto bianconero, i rimpianti di Milano per non aver fatto la stessa cosa nel decennio di re Giorgio. Chi le prende dalla Juventus la sbeffeggia parlando dell’Europa che pure è crudele anche con chi viaggia a troppi punti dai bianconeri che per soldi metteranno pure la casacca dei fantini. Chi trova la libertà fra gli sceriffi dell’Armani ogni tanto sorride, ironizza sui flop europei della portaerei ancorata sui Navigli, ma poi all’esame fuori porta le prendono quasi tutti anche se adesso faremo tutti in modo che le avventure nelle finali delle coppe Fiba di Sassari e Virtus Bologna vengano celebrate nella maniera giusta. Quindi senza esagerare, perché non è il caso dice la Bologna saggia, quella che ad Anversa cercherà di capire perché è rimasta fuori dai playoff italiani che, anche visti da vicino, con i commenti di chi si inventa il bello dove c’è soltanto la casa matta dei difensori di una fede piena di eresie, non saranno troppo eccitanti.

Non fate quella faccia, la stessa dei tifosi di pallavolo che a Modena si chiedono perché la finale scudetto se la giocheranno ancora Perugia e Civitanova, allenate da Bernardi e Fefè de Giorgi, costole vere della scuola Velasco che ama le pugnalate dei suoi campioni. Cara gente, Milano non sarà bellissima da vedere ma le sue avversarie non incantano davvero se Venezia fa una fatica pazzesca per  tornare alla vittoria contro la Reggio Emilia boccheggiante, se la pur sorprendente Cremona ha dovuto aspettare l’espulsione di McAdoo per battere  la Torino che è stata “salvata” dallo stesso ucraino che non salvò Cantù. Sì, certo, c’è Sassari da tenere in considerazione, forse Trieste e Brindisi  sapranno lasciare un segno, ma nella sostanza di cosa stiamo parlando?

Il Pianigiani che guarda con in invidia il livornese di scoglio Allegri perché sul suo filotto italiano non ci sono ombre, pronto a confrontarsi con lui per sapere se il suo Dybala ha le stesse paturnie del Della Valle sparito nel mondo AX là fuori di mano, ad Assago, sa di essere in vantaggio su tutti i settori del campo,  anche se non ammetterà mai di avere davvero di tutto e di più rispetto agli altri, pur potendosi permettere di vincere lasciando a riposo Micov e nell’infermeria Nedovic. Ora diteci quale delle avversarie italiane può permettersi questo lusso, questo risotto giallo da 110 euro? Guai , però, farlo notare. Non osate disturbare il manovratore. Invidiosi come Adani? Be’, cosa possiamo aspettarci tutti noi se danno dell’incompetente a lui, che pure sul campo c’è stato, facendo anche qualche bella partita ad un certo livello, che ha rinunciato ad essere vice di Mancini per continuare a ”leggere”, vedere calcio, dimenticando, magari, il concetto socratico che non si portano in giudizio gli asini, anche se ti picchiano, trascurando il principio  che la pesantezza dopo un po’ di fa diventare antipatico.

Vietato criticare, obbligatorio battere le mani. Nell’arte del lecchino, dice un saggio, ci sono molti esperti. Se diventano amici dei potenti allora è un guaio. Per fortuna ogni tanto prendono qualche porta in faccia e allora tacciono e dicono che la colpa è comunque vostra perché non capite la grandezza. Sono questi tempi dove non serve neppure urlare come al mercato, basta pontificare da qualsiasi pulpito, meglio se i tuoi seguaci non conoscono il passato e si fidano soltanto del presente, un po’ come quelli che vorrebbero obbligarci a non guardare indietro, alla storia, in modo che poi la possano riscrivere loro dicendoci, ancora una volta, che la terra è piatta e che durante il proibizionismo non c’erano ubriachi nella polizia o razzisti nel mondo.

Due  giornate alla fine del campionato di basket che avrà il suo momento quando i playoff divideranno i buoni dai cattivi rendendo acquoso il minestrone delle 30 giornate vissute cercando una rivale per la Milano  che sognava gloria europea e troverà invece soltanto cantori, meglio se a pagamento, nel cortile di casa.  In questo clima al Forum hanno rivisto il faraone  Joe Barry Carroll, uno che lasciò la NBA e Golden State perché “non lo pagavano il giusto”, uno che accettò l’avventura milanese ( ben pagato da Gabetti, comunque) scoprendo che se trovi una squadra vera, una società vera, allora la tua vita può cambiare. L’unica vittoria autentica per il suo io smisurato la trovò con quei pazzi che però in campo avevano quello che sembra mancare ai figli ben più ricchi di oggi: generosità e coraggio.

Doti che aveva il grandissimo John Havlicek, mito del basket, campione con i Boston Celtics, l’uomo che prima di Larry Bird ha costruito la grande casa dove le squadre stanno bene insieme e gli ingegneri vivono bene con gli operai, dove pensare agli altri prima che a se stessi è anche un modo per far capire che non sempre nel professionismo possono prevalere i prepotenti rappresentati da quelli che, come capita purtroppo nelle corse su strada in atletica, ti sfiancano facendoti correre dovunque, senza mai riposare, per guadagnare un euro in più. Lo abbiamo amato anche se  erano tempi in cui  vedevi la NBA  come il paradiso, anche se oggi sappiamo che non è proprio così.

Giorni tristi anche per aver dovuto salutare Johnny Neumann, un supertalento che ha sperperato il suo genio, ma che ci ha ricordato come erano le società di basket ai tempi in cui chi guidava questo gioco non avrebbe mai osato dire “un altro sport”. Erano famiglie allargate dove nessuno si sentiva davvero straniero e ci voleva davvero quella Cantù degli Allievi e del rigoroso Morbelli, dei ragazzi cresciuti nella grande scuola che ci ha dato Marzorati, Recalcati, Della Fiori, per accompagnare questo “cavallo pazzo” che era sublime in tutto: anche quando lo avresti inseguito con un bastone e non solo perché faceva dormire i suoi cani a letto con lui e chiudeva fuori dalla porta la moglie infuriata.

Andiamo alla ricerca del meglio con le pagelle che possono essere  contestate, ma, per fortuna, non ci sarà nessun grillo parlante a rubarci il sonno:

10 A Gregg POPOVICH, che forse ha chiuso con San Antonio, per lo stile anche nel giorno in cui Denver lo ha eliminato al primo turno dei playoff NBA: grazie a tutti ed elogio al montenegrino Jokic che ha infilzato i suoi Spurs. Fuori Pop e quindi anche Messina, il suo vice. Fuori pure Belinelli, il suo giocatore. Dunque la colonia italiana sarà alla finestra visto che anche Gallinari, il meglio visto nella NBA dicono gli agiografi, ha lasciato, battuto da Golden State. Ci resta D’Antoni che ieri avrebbe  forse preferito stare con Meneghin, Joe Barry Carroll e Premier al Forum piuttosto che ad Oakland dove ha perso gara uno contro Durant il magnifico.

10 bis: Per John HAVLICEK un gigante per cui valeva la pena di credere nel basket come danza delle ore per gente che stava bene insieme. Lui era il giocatore che ogni allenatore, in ogni sport di squadra, vorrebbe sempre. Non lo chiamiamo Hondo, come facevano i tifosi, perché lo abbiamo sempre preferito a John Wayne.

9  A Joe Barry CARROLL che ha voluto rivedere i compagni della Milano che vinsero lo scudetto grazie anche a lui. Andandosene regalò un orologio a tutti quelli della squadra, tornando ha regalato un’idea: forse sono le società che oggi ci mancano e per questo abbiamo porte girevoli  che fanno entrare anche il peggio.

8 A BRESCIA, TRENTO e CREMONA che prenderanno i premi federali per l’utilizzo dei giocatori italiani. Valutando gli allenatori forse sarà bene tener conto anche di questo.

7  Alle  rappresentative di VENETO (uomini) e LOMBARDIA (donne) che hanno  vinto il trofeo giovanile delle regioni battendo in finale le squadre laziali. Era la manifestazione dedicata a  Cesare Rubini anche se sui fogli sportivi il nome veniva nascosto. Il principe è esistito ed esisterà sempre, come Rico Garbosi  che Varese ha celebrato per la 40esima edizione mandando in campo 800 ragazzi e 68 squadre per la gioia di Vittori e  Chiapparo che non cedono anche se i tempi inviterebbero a guardare il cielo piuttosto che il canestro.

6 A MORASCHINI, LUCA VITALI e BALDI ROSSI che dimostrano come certe scuole, quella della Virtus in particolare, funzionino ancora. Sì certo, non sono sempre sul pezzo, più il terzo che il capitano di Brindisi o della Brescia da 8 su 10 nel tiro da 3 in un quarto a Sassari, ma forse credere nei settori giovanili può essere ancora di salvezza alla faccia delle brutali promozioni soltanto per chi vi parla di costi e ricavi.

5 Ai PADRONI delle società che hanno cambiato allenatore  se non ammetteranno che avevano messo insieme delle squadre davvero scarse e chiedere miracoli ai nuovi è meschino. Una spesa superflua in più  per giustificare brocchi presuntuosi.

4 Agli ARBITRI che nelle lungaggini del VAR dimostrano la loro pochezza quando devono decidere senza aiuto del video. Troppo tempo davanti al monitor, troppe decisioni da paranoia per giocatori già instabili. Nell’ultima giornata, da Torino a Bologna,  da Milano e Sassari, ne abbiamo viste di ogni colore.

3 A POZZECCO non tanto per aver mancato alla promessa che non si sarebbe più fatto espellere quanto per questa voglia di stupire che davvero stupisce: speriamo vinca la coppa e faccia grandi playoff. Ci serve un personaggio come lui, soprattutto adesso che ha capito di dover stare nel gruppo aiutandolo a crescere e non sempre fuori dal coro, tanto per sentirsi come quando andava dal parrucchiere prima e dopo le grandi vittorie.

2 A TRENTO se oseranno mettere in discussione BUSCAGLIA dopo questo ennesimo tentativo di fare i play off partendo davvero un giro dietro, con giocatori mediocri, quelli nuovi e spesso anche quelli vecchi. Caro LONGHI dite la verità alla gente: abbiamo sbagliato squadra e se entreremo fra le otto sarà una vera impresa.

1 Alla solita LEGA del giorno dopo che anche questa volta farà giocare le partite delle ultime due giornate in notturna penalizzando chi vorrebbe dedicare spazio ai playoff del basket. Contenti loro contenti tutti. Attenti però a non trovarsi da soli con i coristi del bar sotto casa.

0 Al GERASIMENKO che ci aveva lasciato Cantù quasi a pezzi, anche se a farlo fuggire erano stati i suoi ex amici russi, e ora ritorna cercando di salvare quello che resta di Torino. Niente da dire, suoi i soldi, sua la strategia per una città che al basket non ha mai voluto davvero bene come  avrebbero potuto testimoniare gli ulani di De Stefano che venivano da Asti o anche gli ultimi proprietari che venivano da Biella. Certo la speranza è che Lega e Federazione  pretendano di vedere sul tavolo quello che serve per avere una vera società a Torino, pazienza se poi l’allenatore lo sceglierà, come faceva a Cantù, l’uomo dell’acciaio.

Share this article