Juventus provinciale d’Europa

23 Aprile 2019 di Stefano Olivari

La Juventus ha vinto l’ottavo scudetto consecutivo, il quinto dell’era Allegri, ma questa impresa statisticamente enorme ha generato più entusiasmo fra i media, con i loro servizi preparati da mesi e scongelati al microonde, che fra gli stessi tifosi bianconeri: in piazza San Carlo c’erano quattro gatti, nel resto d’Italia i decibel dei clacson sono stati quasi inesistenti rispetto a quelli dei nostri tempi o anche solo di qualche anno fa.

Troppo vicino il quarto di finale con l’Ajax, troppo lontano il nuovo tentativo di conquistare la Champions League con un Cristiano Ronaldo di 35 anni (tanti ne avrà nella primavera del 2020) e una squadra difficile da migliorare senza strappare a cifre folli alcuni giocatori a concorrenti della stessa cilindrata finanziaria e meno indebitati dei bianconeri.

La Juventus poteva vincere già in questa stagione e potrà vincere la prossima, ma nessuna cifra assicura una vittoria sportiva fra pari grado, anche politicamente (e l’Ajax nemmeno lo era, oltretutto). PSG e Manchester City sono sulla stessa linea dell’ossessione, spendendo anche più soldi e con risultati nettamente peggiori rispetto ai bianconeri. Questo tanto per uscire dallo schema ‘La vittoria è l’unica cosa che conta’, che Andrea Agnelli e il suo fan club hanno propagandato salvo poi dopo il disastro parlare come la caricatura di Galliani, citando il ranking, il fatturato e la continuità nei quarti di finale. Il quarto di finale è l’unica cosa che conta?

Le occasioni per riparlare della Champions League non mancheranno: fra l’altro una corrente di pensiero interna alla Juventus riferisce che la preparazione fisica fosse stata tarata per essere al top in occasione delle semifinali. Probabile che l’Ajax primo su ogni pallone, al di là di discorsi tattici, non dipendesse soltanto dalla genialità di Ten Hag (noto inventore del 4-3-3- e del 4-2-1-3) e meno che mai dalla Eredivisie ‘allenante’ anche se l’Ajax non la vince dal 2014 e rischia di non vincerla nemmeno quest’anno: scommettendo molto sui gol siamo grandi fan di Emmen ed Excelsior, ma il livello medio del massimo campionato olandese rimane imbarazzante, in rapporto a quello della serie A.

Ecco, la serie A. Se la Lega Calcio fosse una cosa seria si porrebbe il problema di un titolo che da otto anni va alla stessa squadra. Un problema che non si pongono i perdenti di successo, intenti a scannarsi per un posto in Champions che fa sognare i tifosi-commercialisti CEPU (pazienza se il cinquantello di incassi UEFA vola via acquistando due medi cessi) e tutto sommato nemmeno gli spettatori. Non c’è alcuna fuga dagli stadi, la tendenza al ribasso della pay-tv segue dinamiche che ci sono in tutti i paesi e il calcio in proporzione agli altri sport è molto più forte rispetto agli anni Settanta-Ottanta.

Conclusione? Lo scudetto non interessa più né a chi lo vince né, ed è gravissimo, a chi non lo vince. Nessuno che voglia sparigliare le carte, nemmeno organizzativamente proponendo playoff o un Super Bowl italiano. Non siamo tifosi di Suning, Elliott, Pallotta, eccetera, ma pur con passaporto italiano De Laurentiis e Lotito non ragionano diversamente da loro. Tutti in Italia hanno il mito della Juventus, mentre in Europa viene considerata da sempre un club provinciale, con un status inferiore a quello dell’Inter e molto inferiore a quello del Milan. Il differente atteggiamento delle avversarie nasce anche da questo, più che da trovate tattiche o da campioni esaltati fuori tempo massimo. La parte veramente difficile da copiare del modello Ajax non è il settore giovanile, ma l’assenza di sudditanza psicologica, finanziaria, politica, culturale.

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