Leaving Neverland, il mostro non è Michael Jackson

25 Marzo 2019 di Indiscreto

Dopo aver visto Leaving Neverland, nelle due serate su Nove, la nostra opinione su Michael Jackson non è cambiata. Dopo la visione del lungo, quasi quattro ore, documentario di Dan Reed non sappiamo cioè se Michael Jackson sia stato un pedofilo che ha pagato il silenzio delle sue vittime oppure una celebrità accusata fuori tempo massimo da due testimoni e scagionata da decine di altri. Sappiamo però che sicuri mostri sono stati i tanti genitori, non soltanto quelli di Wade RobsonJames Safechuck, che hanno lasciato i loro figli di cinque o poco più anni da soli insieme ad un adulto che conoscevano da poche ore, pensando di poterne ricavare soldi e celebrità di riflesso. Gente che nemmeno a distanza di decenni si rende conto della propria stupidità, a prescindere dal racconto dei figli. Insomma, Barbra Streisand non meritava di essere linciata per avere provato a inquadrare la situazione. E le radio che hanno tolto Jackson dalle playlist hanno dimostrato soltanto ipocrisia, accettando una sentenza basata sul ‘si dice’ mediatico. Non stiamo dicendo che Jackson fosse innocente, ma soltanto che la morte non autorizza la diffamazione.

Ma cos’è Leaving Neverland? Prodotto dagli inglesi di Channel 4 e dall’americana HBO, è basato fondamentalmente sulle interviste a Wade Robson e James Safechuck, oltre che ai loro familiari. Da sottolineare che in passato sia Robson sia Safechuck, in particolare Robson, erano stati decisivi con le loro testimonianze, immaginiamo non a pagamento (negli Stati Uniti la falsa testimonianza è un reato serio), nello scagionare Jackson da accuse simili. Meno famosi di Jordan Chandler e Gavin Arvizo, forse i due ex bambini ospiti di Neverland hanno voluto ritrovare la ribalta, ispirati da pendenze che ritengono di avere con gli eredi di Jackson, o forse avevano davvero un peso insopportabile dentro. Di certo è criminale che loro e tanti altri siano stati addestrati da genitori frustrati per diventare piccole star, mostriciattoli con più o meno talento. Guardare Wade e James bambini ballare come piccoli sosia del loro idolo è agghiacciante. E non c’è bisogno dell’eventuale reato di pedofilia, sia pure a carico di un morto (nel 2009), per dire che non si dovrebbe fare spettacolo con i minorenni e meno che mai con i bambini. Ad esempio anche senza reati il recente Sanremo Young è stato culturalmente una schifezza e non si capisce come la RAI abbia potuto trasmetterlo.

Tornando a Leaving Neverland, bisogna dire che raramente il genio di Thriller e Bad è stato attaccato così nel dettaglio, con particolari anatomici che poco hanno aggiunto alla comprensione. Ed è incredibile che, trattandosi di documentario, sia stata un’opera a senso unico ignorando le testimonianze di decine di ex bambini (con genitori mostri anche nel loro caso, peraltro), fra i quali Macaulay Culkin, che hanno confermato l’assenza di abusi da parte del musicista e descritto la sua figura ipersensibile e tragica: stritolato fra un padre violento, una madre vittima, fratelli e sorelle avidi oltre che privi di talento (forse un minimo ne aveva Janet), approfittatori di ogni tipo, a 5 anni già manteneva da solo tutto il carrozzone. Cosa che peraltro fa anche da morto, per questa e le future generazioni di Jackson. Ma se non ci vogliamo fidare delle testimonianze dei bambini, bisogna ricordare quelle delle centinaia di adulti passati per casa Jackson e che hanno potuto vedere il divo nell’intimità: guardie del corpo, camerieri, manager, amici, questuanti. Tutti silenziati a colpi di 15 milioni di dollari, come Chandler? L’infanzia perduta non è certo una licenza di pedofilia, ma la spiegazione del perché si detesta la compagnia degli adulti.

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