Icardi non bacia la maglia

26 Febbraio 2019 di Claudio De Carli

C’è qualcosa che non sia già stato detto sul caso Icardi, su Indiscreto o altrove? Forse al di là dell’Inter non si è parlato di cosa Icardi pensi davvero del calcio e del mondo, in questo senso nemmeno la sua famosa autobiografia ‘Sempre avanti’, quella che lo ha messo nel mirino della Curva Nord prima di una poco cordiale indifferenza, può esserci di aiuto: del resto non soltanto non l’ha scritta, la sua autobiografia (vale anche per Agassi e tutti gli altri), ma nemmeno l’ha letta. Proponiamo quindi un ricordo personale, fuori dalle tante interviste standard ad Appiano Gentile.

Giorno infrasettimanale del maggio 2015, per essere metà primavera fa molto caldo. Anche sul lago di Garda: sole, foglie ferme, visitatori con l’acqua in mano. L’ufficio stampa di Gardaland ci ha invitato a Gardaland per la presentazione di Oblivion, un dive coaster (in pratica una montagna russa dove ad un certo punto si precipita in verticale). Non siamo più bambini, ma lo spirito è quello. Andiamo a provare Oblivion. Verso la una ci viene fame, entriamo nel primo bar: deserto, nessuno, neppure dietro la cassa. Ci avviciniamo al banco, esce una ragazza in costume con cinturone e pistole, ordiniamo toast e Coca Cola, andiamo a sederci. Nessuno, al contrario di quanto accade nei fine settimana e d’estate. Parliamo con la fidanzata, nemmeno lei bambina. Poi ci scappa lo sguardo sull’ultimo tavolo in fondo alla sala, quasi dietro la parete. Ma quello è Icardi!

Sì, Maurito con Wanda, soli anche loro, zero prole. Si sono concessi una giornata a Gardaland. La fidanzata ci fa: dai, andiamo lì. “Mannò – le rispondo – non si fa, lasciamolo in pace. E poi lo vedo tutti i giorni ad Appiano… Cosa andiamo lì a dirgli?”. Seguono sorrisi e fantasie libere, la giornata sul Garda inizia ad avere un senso. Andiamo alla cassa a pagare e dietro di noi si piazza Icardi, che del resto è l’unico altro cliente del bar insieme a noi e a Wanda. Assurdo far finta di niente, sembra quasi si sia infilato apposta. Ma così non è: semplicemente non gliene importa niente della nostra presenza. Ci giriamo: “Ciao Maurito, come va?”. Sorride di sguincio. Cosa gli diciamo? “Ti sto dando troppi sette in pagella”, gli diciamo. E lui: “Non me ne frega niente, è un problema tuo”. E ride. “Tranquillo – gli facciamo – non lo scrivo”. E lui: “Scrivi quello che vuoi, non me ne frega niente dei tuoi sette, dei giornalisti, dei tifosi e di quello che dice la gente. Fascia, squadra, tutto il resto: sono qui per vincere e fare gol. Fare gol e vincere. Oggi sei qui, domani ti vendono. Sono qui per vincere e fare gol”. Paghiamo e ci giriamo nuovamente: “Maurito, ci si vede”. Sorride, lui.

Torniamo dalla fidanzata. “Cosa gli hai detto?”, mi chiede. “Niente”. Però lei vuole saperne di più. Pensiamo che sia un vero tamarro, come qualche mese prima si è definito. Un tamarro ma anche uno vero. Non dice e non ci dirà mai, nemmeno negli anni successivi, che il presidente è un padre, l’allenatore un amico, i compagni di squadra dei fratelli a cui deve tutto, baciando la maglia e giurando che è pronto a firmare in bianco. Uno vero, a 22 anni e con tutte le responsabilità anche familiari che gli sono piovute addosso. Ha il tono che usava Ibrahimovic guardandoti dall’alto in basso, con quel fare da gangster, mentre tutti dicevano: “Cazzo, che personalità!”. Maurito ti guarda ad altezza occhi, piantato che non lo smuoverebbe neppure un caterpillar. Di questo incontro non abbiamo scritto una riga, non ne abbiamo fatto niente, considerandolo poca cosa. Zero sul Giornale e zero nel nostro libro Aspettando Moratti. In ogni caso non crediamo che gli avrebbe fatto bene. Oggi invece ci sembra che aiuti molto a capire chi è e soprattutto come non ci si debba comportare con lui.

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