Anche in Sardegna la vergogna del voto a destra

26 Febbraio 2019 di Stefano Olivari

Christian Solinas è il nuovo presidente della Sardegna (i governatori continuano a risiedere nel Minnesota), dopo le elezioni che hanno dato al candidato di centro-destra il 47,8% dei consensi dei sardi, contro il 32,8 di Massimo Zedda per il centro-sinistra e ll’11,2 di Francesco Desogus per i Cinque Stelle. Nessuno ha giustamente voglia di leggere le nostre analisi su un voto che in Sardegna è anche più locale che in altre regioni, vista la presenza e la forza di tanti partitini, liste e movimenti locali. Il più famoso di tutti, il Partito Sardo d’Azione, era comunque affiliato al centrodestra e con il suo 9,9% è andato meglio di Forza Italia (8,0) e non tanto lontano dalla Lega (11,4). A noi appassionati di maratone elettorali a questo giro è molto mancato Mentana, ma del resto il ritardo nello spoglio non avrebbe consentito di andare al di là degli exit poll: troppo poco, anche per il suo collaudato dream team di opinionisti notturni. E proprio di questo volevamo parlare: mai a nostra memoria gli exit poll sono stati così sballati come in queste Regionali sarde. Perché?

Prendiamo i giornali di ieri, per ovvie ragioni di tempo usciti soltanto con l’analisi degli exit poll. Solinas con una forbice dal 36,5 al 40,5%, Zedda dal 35 al 39, Desogus dal 13,5 al 17,5. In altre parole, secondo la rielaborazione delle dichiarazioni di voto all’uscita dai seggi si era riusciti ad intuire il crollo dei Cinque Stelle, ma non nelle proporzioni giuste, e un testa a testa fra destra e sinistra con tutti i distinguo del caso (troppe le liste e troppi i partitini). Da sottolineare che i sondaggisti già sono abituati ad aggiustare i risultati, alzando leggermente i voti di destra e abbassando quelli di sinistra. E infatti anche in elezioni nazionali si sbagliano di poco, senz’altro di meno rispetto a quanto si siano sbagliati in Sardegna. Per dirla in italiano: molte persone ancora nel 2019 si vergognano di votare a destra, secondo uno schema psicologico di tutto il Dopoguerra. Perché votare Democrazia Cristiana, senza ammetterlo nemmeno a tavola, per molti era in sostanza soltanto un voto anticomunista: a nessuno batteva il cuore per Forlani o Gava… La domanda è: perché?

A occhio crediamo sia un problema più dei vecchi che dei giovani, più fluidi e mobili nelle loro preferenze. Anni di condizionamenti mediatici, scolastici, religiosi, familiari non si possono cancellare uscendo dal seggio. C’è il retropensiero, anche in qualcuno che vota a destra, che chi è di destra sia in fondo ‘cattivo’ mentre chi è di sinistra sia in fondo ‘buono’.  È secondo noi un’idiozia enorme, ma può essere la spiegazione di tante analisi basate su dati sballati come non mai. In Sardegna poi questa logica nazionale è stata estremizzata dalla presenza di tanti movimenti locali, alcuni genericamente di destra (Il Partito dei Sardi, Sardi Liberi) e altri genericamente di sinistra (Autodeterminazione, Rifondazione-Sinistra Sarda), che negli exit poll sono stati molto sottostimati. In sostanza alcuni sardi si vergognano di essere di destra e altri di esprimere un voto localistico. Mentre il voto per Zedda era un voto ‘perbene’ (non che non fosse un buon candidato, anzi è stato zavorrato dal PD nazionale) e a sorpresa anche quello per i Cinque Stelle è diventato più socialmente accettabile. Tornando alla questione principale, è evidente anche la discriminante culturale: nel nostro bar di via Novara nessuno si vergogna di votare per la Lega, mentre non conosciamo alcun giornalista (e ne conosciamo personalmente centinaia, non raffinati intellettuali ma gente che scrive di Icardi e Suso), posto che il giornalista abbia una cultura media superiore a chi sta tutto il giorno davanti al videopoker, che apertamente dichiari la sua preferenza per Salvini.

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