1945 Checkpoint Trieste, il documentario degli italiani

25 Febbraio 2019 di Indiscreto

Amiamo i documentari giornalistici, che nella peggiore delle ipotesi sono un ripasso, odiamo lo storytelling che nella migliore delle ipotesi fa ridere. 1945 Checkpoint Trieste, visto la scorsa notte su Sky Sport, è un documentario di quelli che aggiungono qualcosa  alla conoscenza, almeno alla nostra. Attraverso la complicata storia della Triestina del dopoguerra Matteo Marani ha provato a raccontare per flash la complicatissima storia della Trieste del dopoguerra, una storia emotivamente non ancora finita e che riesce sempre a sorprenderci per l’indifferenza con cui viene percepita. Il suo inizio è nel maggio del 1945 con l’invasione delle truppe iugoslave di Tito e alcune settimane di autentico orrore: omicidi, esecuzioni sommarie, esseri umani ancora vivi gettai nelle foibe, stupri, saccheggi, devastazioni, con un bilancio prudente di 10.000 italiani morti e la salvezza arrivata ancora una volta grazie agli americani: il 9 giugno la zona di Trieste, chiamata con un eufemismo Territorio Libero di Trieste, viene divisa dalla cosiddetta Linea Morgan, in zona A sotto il controllo angloamericano (è la zona che comprende la città in senso stretto) e quella B sotto il controllo jugoslavo.

Giordano Cottur in trionfo a Trieste nel 1946

Nel documentario si passa dalla Storia con la esse maiuscola a quella calcistica, che tanto piccola però non è. La Triestina già nel 1945 riesce a schierare vecchie glorie come Colaussi e Pasinati, mentre Nereo Rocco allena una squadretta legata alla Democrazia Cristiana (di cui sarà consigliere comunale), lavora nella macelleria dei genitori e sembra avere abbandonato qualsiasi velleità calcistica ad alto livello. Sembra. Lo stadio più avanti chiamato Grezar è a pochi metri dalla Risiera di San Sabba, lager dove nella fase terminale del fascismo sono morti atrocemente tanti ebrei, soprattutto triestini. Più che per le vicende della Triestina, però, l’Italia del 1946 si emoziona per quelle della Wilier, squadra ciclistica di Trieste con Giordano Cottur come capitano. In quel Giro d’Italia la tappa che deve arrivare per Trieste viene interrotta a Pieris (il paese di Fabio Capello) da un’imboscata di slavi, forse anche di italiani pro Tito, e viene neutralizzata. Ma la Wilier decide di raggiungere lo stesso la sua città, così Cottur e compagni sfidano sassate e aggressioni, arrivando al traguardo forse più bello nella storia del nostro sport. Da pelle d’oca, come tutto quel ciclismo, senza bisogno di retorica: quell’edizione del Giro sarà vinta da Bartali su Coppi.

Nell’estate del 1946 la Triestina rischia di sparire, per motivi sia politici sia finanziari. Tutti i giocatori migliori se ne sono andati e l’unico aiuto concreto arriva dall’Udinese, che presta lo stadio Moretti per le partite casalinghe. Ma c’è di più: sempre nel 1946 a Trieste nasce l’Amatori Ponziana, che partecipa alla massima divisione del campionato jugoslavo usufruendo di finanziamenti slavi. Tito è tutto tranne che stupido, poche cose come il calcio creano consenso… Trieste si trova così ad avere due squadre calcistiche di serie A che giocano le partite casalinghe nello stesso stadio, ma in due nazioni diverse… L’Amatori durerà un paio d’anni prima di tornare Ponziana e basta (ci giocheranno Cudicini e Galeone), detestata dalla maggioranza dei triestini, mentre la Triestina riesce a risollevarsi grazie anche all’aiuto di un giovane Andreotti che, non meno intelligente di Tito, dirotta sullo sport alcuni fondi previsti per le zone di confine. Intanto nel 1947 gli accordi di Parigi tolgono Istria e Dalmazia all’Italia, ponendo le premesse per un esodo drammatico. 350.000 italiani lasciano casa, lavoro, posti dove hanno sempre vissuto, per sfuggire al destino toccato a tanti connazionali e raggiungere quella che è la loro patria. Anzi, sarebbe la loro patria.

Abdon Pamich ai Giochi di Tokyo 1964

È proprio qui, insieme alle immagini del Magazzino 18 (il deposito dove i nostri esuli lasciarono tanti oggetti personali, senza mai venire a riprenderseli) che Simone Cristicchi ha avuto il merito di ricordare in un suo spettacolo, la parte più toccante del documentario di Marani: quando intervista Margherita Granbassi che certe storie le ha sentite dai suoi parenti, ma soprattutto Mario Andretti e Abdon Pamich che le hanno vissute ragazzini in prima persona. In particolare il campione olimpico della 50 chilometri di marcia a Tokyo 1964 ha ancora stampato nella mente il modo in cui gli esuli italiani furono accolti dagli altri italiani, soprattutto da quelli comunisti nelle stazioni e nei campi profughi: in maniera molto ma molto peggiore rispetto a come vengano accolti oggi gli immigrati dall’Africa. Intanto la vita a Trieste stava ripartendo e la Triestina guidata da Rocco arrivò nel 1948 a un incredibile secondo posto dietro al Grande Torino. Nel 1954 sarebbe arrivato il Memorandum di Londra, che in pratica (non sottilizziamo) ufficializzò una situazione di fatto: zona A italiana e zona B (quella dove c’è Capodistria) jugoslava, fino a quando non è diventata slovena. Non riusciamo ancora a capacitarci del fatto che quando la Slovenia è diventata indipendente, nel 1991, nessun politico italiano abbia voluto ridiscutere il Trattato di Osimo. Ma questa è un’altra storia, o forse no.

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