Perché aumenta il prezzo di Netflix?

16 Gennaio 2019 di Stefano Olivari

Gli abbonamenti a Netflix costeranno un po’ di più, da subito negli Stati Uniti e probabilmente fra poco in Europa, e l’uomo moderno (oseremmo dire l’Uomo Indiscreto) si chiede perché. Non perché gli faccia una grande differenza pagare 9 dollari (o euro) al mese invece di 8 per l’abbonamento base, quello che consente di vedere i programmi su un solo schermo alla volta, nella sua vita avranno un impatto molto più devastante i futuri percettori di reddito di cittadinanza con casa di proprietà e conti correnti intestati alla nonna. Ma perché il modello Netflix è quello che chiunque abbia contenuti forti da vendere ha nella testa, anche senza fare il solito esempio della Serie A. Per dare un’idea delle cifre a chi non è appassionato di serie televisive, diciamo che in Italia finora l’abbonamento per la visione su un solo schermo costa 7,99 euro al mese, quelle per due 10,99 e quella per quattro 13,99. Cifre modeste, paragonate alla proverbiale pizza dell’era Euro e al fatto che questi abbonamenti siano molto spesso condivisi. Cosa sta succedendo quindi a Netflix?

Sull’andamento dell’azienda diretta da Reed Hastings abbiamo letto varie analisi e il punto di partenza di tutte è che questo aumento percentualmente notevole (fino a più 18%, per quello top) sia figlio di impegni futuri di spesa per produzioni e acquisizioni future che sono vicini ai 17 miliardi di euro, al cambio attuale con il dollaro. Miliardi, non abbiamo scritto male. Per il prima citato reddito di cittadinanza lo stanziamento previsto dalla Legge di Bilancio 2019 è stato di 7,1 miliardi… Insomma, altro pianeta. È stato stimato che un singolo episodio di Stranger Things, la nostra serie Netflix preferita (c’entrano ovviamente gli anni Ottanta), costi di pura produzione 7,5 milioni di euro: cifra con cui da noi si gira un film molto ambizioso, con grande larghezza di mezzi. Tutto starebbe in piedi se, banalmente, i ricavi superassero i costi: ma l’anno scorso Netflix ha avuto un flusso di cassa negativo per quasi 2 miliardi di dollari e la previsione 2019 veleggia verso il meno 3. Insomma, una catastrofe nonostante i 137 milioni di abbonati in tutto il mondo ed il fatto che che questa catastrofe sia stata contabilmente rimandata (nel 2017 l’azienda ha generato ufficialmente utili per 559 milioni di dollari) grazie, evidentemente, all’imputazione futura di alcuni costi e licenze.

Meccanismi strani per noi al bar, che giudicheremmo avviata verso il fallimento un’azienda che brucia 2 miliardi e passa all’anno. Aumentare il prezzo degli abbonamenti, visto che stiamo parlando sempre di cifre contenute, era l’unica strada logica visto che l’alternativa sarebbe stata abbassare la qualità. “Bisogna modificare il pricing”, si direbbe in cialtronese. Soprattutto quando è troppo basso. Per far un altro esempio concreto, non occorre Nostradamus per prevedere che l’Amazon Prime italiano a 3 euro al mese non possa ancora a lungo costare un quarto del corrispondente americano. Ma tornando a Netflix, dichiariamo il nostro tifo per questo modello flessibile e mirato, anche se la realtà di tanti mini-abbonamentini sta cominciando a diventare ingestibile. Non fosse altro perché non ci siamo ancora liberati dagli abbonamentoni.

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