Gli ultras del Napoli meglio dei tifosi

18 Gennaio 2019 di Indiscreto

A più di tre settimane dalla morte di Daniele Belardinelli nessuno sa ancora chi l’abbia ucciso, nonostante gli scontri prima di Inter-Napoli siano avvenuti a pochi metri da un commissariato di Polizia, in una zona piena di telecamere, con tante riprese amatoriali e ancora più testimonianze. Però il recente arresto di Nino Ciccarelli, uno dei fondatori dei Viking della Curva Nord interista nonché protagonista poco immaginario del romanzo ‘Il Teppista’, è un buon pretesto per un punto della situazione. Perché il giudice per le indagini preliminari Guido Salvini ha dato un’interpretazione dei fatti un po’ diversa da quella del mainstream mediatico, ipotizzando una battaglia concordata fra ultras interisti e ultras napoletani della Curva A, arrivati a Milano staccati dal resto della tifoseria. Nella nostra modestia lo avevamo scritto il giorno dopo i fatti e non perché fossimo sul posto, visto che eravamo già a San Siro per la partita (che evidentemente non interessa gli ultras, altro tema da segnalare a chi parla di ‘abbassare i toni’), ma perché da anni l’Italia si è adeguata al resto d’Europa, con gli scontri veri che non avvengono più allo stadio ma in zone lontane e su appuntamento.

A dirla tutta, i due chilometri di distanza fra via Zoia e lo stadio che i cantori dell’impianto di proprietà vorrebbero abbattere, sono pochi per gli standard di oggi: un parcheggio della Lidl, una piazzola per camion, una discarica, posti del genere. Funziona così in Germania, in Olanda, in Russia, nell’Inghilterra del mitico ‘modello inglese’. In altre parole, è molto difficile che un incolpevole passante possa subire dei danni, anche se purtroppo in qualche caso è accaduto. Stando a tutte le testimonianze raccolte dai magistrati e da ciò che circola, gli scontri di Milano si sono fermati non appena i napoletani si sono accorti che Belardinelli era a terra ferito. Nessuno pensava davvero che stesse morendo, infatti quando è stato trasportato al pronto soccorso era ancora cosciente, ma era già chiaro che fosse grave. In questi casi l’etica ultras impone che ci si fermi, eventualmente per riprendere in un altro momento, e i napoletani l’hanno di sicuro rispettata, al di là di chi avesse investito Belardinelli. Ci sembra giusto sottolinearlo, in un mondo in cui chi piange per primo è convinto di avere ragione, come dimostrano i folli sviluppi del caso Koulibaly, con il Napoli e molti suoi tifosi ‘perbene’ a pretendere una sorta di giustizia sportiva privata. In ogni caso restringere alla curva interista le responsabilità dei buu a Koulibaly è negare l’evidenza, cioè lo stesso comportamento tenuto anche da molti tifosi interisti ‘perbene’, cretini che i pur lodevoli video di Zhang non potranno rieducare. Certo gli ultras consumano poco e gli altri magari ti comprano la terza maglia, ma non allarghiamoci.

Questa storia ha però anche altri aspetti originali, come la divulgazione, mezzo secondo dopo la sua deposizione, del nome dell’ultras interista che ha denunciato i suoi presunti capi. Ma come, facciamo mille pistolotti contro l’omertà e poi sbattiamo in prima pagina il nome di un ragazzo (21 anni) che ha collaborato con la giustizia? Senza contare il fatto che degli interrogatori milanesi è uscito tutto, a partire dai nomi degli interrogati, mentre degli indagati napoletani non sappiamo nemmeno le iniziali. Insomma, una sorta di gestione federalistica della privacy e della giustizia: ognuno fa come gli pare. Con il risultato grottesco che i compagni del morto sono in carcere mentre quelli dei presunti assassini rimangono a piede libero.

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