Debito pubblico record, prove tecniche di guerra civile

17 Gennaio 2019 di Stefano Olivari

Tutti abbiamo purtroppo letto del debito pubblico italiano che secondo l’ultima statistica della Banca d’Italia ha toccato il livello record di 2.345,3 miliardi di euro, circa 40.000 per ogni cittadino. In altre parole, se ognuno di noi regalasse 40.000 euro allo Stato, oltre a quanto già paga fra imposte dirette e indirette, non esisterebbe il problema del debito pubblico. Stiamo scherzando, ma fine aprile si avvicina e seriamente qualche economista pentastellato, Achille Lauro con i soldi degli altri, potrebbe iniziare a pensare che la ricchezza finanziaria totale degli italiani è valutata, a spanne, vicina ai 4.500 miliardi… Comunque a novembre 2018 eravamo sotto di 2.345,3 e vista la fonte possiamo crederci, cercando di dimenticare le tante bombe seminascoste nella finanza locale, roba che ci vorrebbe uno shutdown di 60 anni. Ma cosa volevamo dire?

La solita cosa, perché secondo il teorema di Mike Bongiorno il pubblico si rinnova (o si dimentica). E cioè che la massa del debito è stata creata non dal neoliberismo selvaggio o dall’Europa cattiva, ma negli anni dei politici oggi ritenuti seri, dei padri della patria, della grande battaglia di ideali. Può essere però interessante partire dagli ultimi anni mussoliniani, con il debito pubblico in percentuale del PIL che dall’80% circa schizza a quasi il 110% durante la guerra. Con abbattimento avvenuto, chiaramente a spese di chi deteneva titoli pubblici, più per merito dell’inflazione che di un boom economico che sarebbe arrivato in seguito. A metà anni Sessanta, all’apice del boom, il rapporto è di un clamoroso 33%. Gli anni criminali, dal punto di vista dell’indebitamento, sono stati quelli da inizio Settanta fino alla fine della Prima Repubblica: quelli delle spese sociali incontrollate, del clientelismo, delle grandi opere mai terminate, delle pensioni erogate ai quarantenni. Con gli anni Ottanta nettamente peggiori dei Settanta, pur essendo il quadro politico quasi lo stesso. Ancora nel 1981 il rapporto era infatti intorno al 60%, poi la battaglia americana all’inflazione, il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia (effetto primario: la Banca d’Italia non avrebbe più avuto l’obbligo di sottoscrivere i titoli di Stato invenduti), le spese reali ormai fuori controllo fecero precipitare la situazione pur non essendo cambiata la politica: DC e PCI fortissimi, PSI con potere di interdizione, liberali pochi e messi lì per bellezza, fascisti marginali. Con il mitico spread con i Bund tedeschi, quello che adesso turba i sonni dei ‘responsabili’ quando tocca quota 300, che in certi periodi arrivò sopra quota 1.000…

Facciamola breve: nel 1994, anno di svolta in tutti i sensi (ma quand’è che esce il nuovo Accorsi?), il rapporto debito-PIL tocca il 121% e da allora tutti i governi di qualsiasi colore hanno nella sostanza dovuto convivere con questo tumore, chiudendo con un saldo primario (entrate meno uscite, con esclusione degli interessi sul debito) positivo quasi tutti gli esercizi. Certo, nessuno è riuscito ad invertire una tendenza in maniera strutturale(si è tornati vicini al 100% in certe annate di Berlusconi e Prodi), ma nessuno ha fatto disastri irreparabili se non quello di continuare a pagare oneri finanziari su una massa di debito che non si è riusciti a ridurre. Adesso al 131,8% del PIL, fra i paesi civili solo la Grecia sta peggio. I dati sono dappertutto sul web, inutile che stiamo a copiarli. Conclusione? Al di là di auspicabili atti di giustizia, come ricalcolare in maniera contributiva tutte le pensioni o di commissariare gli enti locali indebitati, la situazione attuale può ancora essere gestita. Ma se il debito dovesse aumentare per bombe strutturali, non solo il reddito di cittadinanza, si creerebbero le premesse per prelievi patrimoniali shock, chiaramente ai danni della classe media che non ha conti segreti alle Cayman o trust in Lussemburgo. Ecco, in questo caso potrebbe davvero esserci la seconda guerra civile italiana: ricchi che hanno occultato tutto e poveri contro quel che resta della classe media. Il primo  partito ha dalla sua il possibile uso della violenza fisica e giudiziaria, legalizzata o illegale, il secondo soltanto la sua rabbia. Nessun dubbio sul posizionamento della maggioranza dei giornalisti, figli della classe media che frequentano i ricchi e mitizzano i poveri.

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