Da Pillitteri a Ofo, il fallimento del bike sharing

29 Gennaio 2019 di Stefano Olivari

Abbiamo letto l’articolo del Financial Times sulla crisi di Ofo ed in generale sulla difficile sostenibilità economica del bike sharing proprio pochi giorni il furto della nostra amata Bianchi Vento 605, in un garage. E volendo avvicinarci al mondo del bike sharing, più per comodità che per una filosofia davvero condivisa (detestiamo questo mondo di hipster in cui non sei proprietario nemmeno delle tue mutande), ci ha colpito il fatto che l’azienda fondata da Dai Wei abbia perso nella sua vita circa due miliardi di dollari e che adesso abbia realisticamente davanti due sole strade: il fallimento o il limitarsi, come pare stia accadendo, all’attività in Cina. Stiamo parlando di una crisi mondiale, non soltanto italiana o milanese, del cosiddetto free flow: cioè delle bici lasciate per così dire libere e localizzate tramite una app (come anche Mobike, per dire), diversamente da quanto accade per quelle lasciate agganciate in posteggi fissi come accade ad esempio con BikeMi.

Le Ofo sono, per semplificare, quelle bici gialle che vi sarà magari capito di trovare anche sotto casa. Il problema è che di solito non le vediamo usate dai proverbiali Bobos detestati dai gilet gialli, perché questi borghesi metropolitani quasi sempre girano con una vecchia bici di proprietà, ma da adolescenti simil-maghrebini (è un periodo in cui tutti gli adolescenti di Milano ci sembrano maghrebini, anche se in rari casi non lo sono) che vedono le due ruote come un’interessante alternativa al salto del tornello in metropolitana (mentre il controllore, ormai ultimo utente della stampa sportiva, sta leggendo di Rugani e Gabbiadini). Non crediamo che si siano registrati per avere la app, lasciando i dati della carta di credito, ma semplicemente che sappiano sbloccare le Ofo senza bisogno del codice di sblocco. Insomma, così a naso e senza leggere il Financial Times non avremmo mai comprato azioni di Ofo. Perché basta una minoranza di vandalismi per far fallire l’intero sistema. E non siamo poi nemmeno sicuri che si tratti di una minoranza, né di soli maghrebini.

Perché nel 1987 avevamo già l’età per votare, quando l’allora sindaco di Milano Paolo Pillitteri, più noto come cognato di Craxi e come protagonista di un memorabile sfogo contro gli autisti ATM (“Straccione! Fascista! Squadrista! Nazista!”), ebbe l’idea ottimista di mettere disposizione della cittadinanza 500 bici gialle, senza alcun controllo né iscrizione ma solo un generico impegno a non rubarle. Non bike sharing ma già nelle premesse un’idea ironica, visti gli ideatori quasi una provocazione. Ecco, quegli adolescenti e adulti in gran parte milanesi o giù di lì, fecero sparire in poche ore quasi tutto quel parco bici. E ciò che non era sparito fu ritrovato fracassato, per puro dispetto. Quando non è possibile far rispettare le regole con la forza, bisogna affidarsi al solo senso civico. Che non manca soltanto in Italia, evidentemente.

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