Come sarà usato Daniele Belardinelli

27 Dicembre 2018 di Stefano Olivari

La morte di Daniele Belardinelli ha scatenato la retorica di chi non mette piede in uno stadio da decenni e si produce in sermoni del genere ‘Bisogna che le famiglie tornino negli stadi come succedeva una volta’. E quella ancora peggiore di chi considera i morti di calcio più gravi rispetto a quelli nelle discoteche o in un corteo politico, nonostante il calcio in senso stretto conti pochissimo: nessuna delle poche morti nella storia del calcio italiano è mai stata causata da una discussione su un rigore, sul fuorigioco o sulla sudditanza psicologica degli arbitri. L’ultras dell’Inter (e del Varese, curva gemellata con quella interista) è morto, in circostanze ancora da accertare (ma l’unico colpo di scena sarebbe che si fosse suicidato), per essere stato investito da un’auto durante scontri avvenuti con ultras napoletani lontanissimo dalla stadio, in una zona (via Novara, angolo via Fratelli Zoia) che dista dallo stadio una ventina di minuti a piedi. Non stiamo parlando di un martire, bisogna precisare, ma di una persona cosciente della situazione in cui si stava infilando.

Già il luogo ci fa pensare che fossero scontri su appuntamento, come ne avvengono tanti in Europa e soprattutto nei paesi in cui la violenza negli stadi quasi non esiste, come l’Inghilterra di oggi. La logica della polvere sotto il tappeto, con i Daspo che risultano quasi controproducenti: gli scontri sono quasi sempre fra gente già daspata, che dentro a uno stadio sarebbe controllabile più facilmente. Si arriva senza dare troppo nell’occhio, in auto private e soprattutto van senza segni di tifo (e quindi non frenabili dalla polizia, se non con controlli a campione), ci si mena, arrivederci e grazie. Traduzione: il calcio potrà anche fermarsi per riflettere (per fortuna Gravina ha mostrato lucidità) e le curve potranno anche essere chiuse, ma questo è un problema dell’Italia e non certo di organizzazione sportiva.

Le cose che volevamo sottolineare sono però quattro. La prima è che mai come negli ultimi tempi le famiglie, qualsiasi cosa voglia dire, sono tornate negli stadi. Il pubblico di oggi è molto meno maschile e un po’ meno anziano rispetto a quello degli anni Ottanta (i più violenti, dal punto di vista ultras) e Novanta, ma soprattutto spende per il calcio cifre molto superiori. È così avvenuta in tre quarti dei posti, nemmeno troppo lentamente, una sostituzione graduale in termini di classe sociale, tipo Premier League. Questo non significa che in curva ci vadano soltanto poveracci, è anzi oggi più di ieri pieno di studenti, impiegati, liberi professionisti e imprenditori (lo era lo stesso Belardinelli), ma soltanto che l’idea di base dei club è quella di avere stadi-teatro popolati da tifosi-consumatori. Gente mansueta che paga e sta zitta, accettando qualsiasi cosa e lottando soltanto per aggiudicarsi le magliette tirate da qualche precario sottopagato dai club.

Il secondo punto che ci sembra importante è che nella storia del calcio italiano i morti sono stati pochi, anzi pochissimi, in rapporto ai pericoli percepiti e a quelli reali collegati a un qualsiasi raduno di massa. È anzi un vero miracolo che un movimento che ogni settimana fa spostare centinaia di migliaia di persone generi così pochi incidenti. Un articolo storico sul tema non ha nemmeno bisogno di Wikipedia, da tanto sono stampati nella memoria i cognomi dei defunti, con modalità e ruoli diversi: Paparelli, Fonghessi, Filippini, De Falchi, Spagnuolo, Raciti, Esposito, eccetera… Mettendo insieme categorie diverse non arriviamo a venti in tutto il Dopoguerra. Meno che in qualche fine settimana in certi luoghi di divertimento, anche se chi considera divertimento il calcio non lo ha minimamente capito. La terza cosa secondo noi da sottolineare è che i leggendari stadi di proprietà o autogestiti migliorano la situazione negli stadi stessi (che infatti oggi sono più sicuri rispetto a un tempo), ma non certo nei dintorni e meno che mai nei piazzali di autogrill o supermercati: usare un morto per ottenere corsie preferenziali per colate di cemento e insulsi centri commerciali è una porcheria, ma temiamo che avverrà proprio questo.

Ultimo punto: ci sono ultras e ultras, anche nello stesso paese, non si possono quindi trovare soluzioni uniche applicabili in ogni contesto. Quelli dell’Inter non hanno di fatto rapporti con il club, quelli del Napoli e della Lazio sono addirittura contro De Laurentiis e Lotito, in realtà come la Juventus o l’Atalanta si è trovato un preoccupante modo di convivere ed in altre come la Roma le divisioni sono tali da rendere impossibile una strategia, mentre al Milan ancora ci si deve posizionare con gli americani (siamo rimasti alla grande stima per Mirabelli e Fassone) ma è difficile che con Leonardo e Maldini possa esserci cordialità. Cosa è meglio, posto che esista un meglio? Di certo la politica in senso ideologico conta molto, ma molto, meno di un tempo. Senza senso l’idea di Salvini di incontrare i responsabili (quali?) delle curve… Insomma, chi si stupisce per i gilet gialli in Francia potrebbe guardare più comodamente a casa sua. Detto questo, ribadiamo che Belardinelli sarà usato per costruire qualche supermercato e qualche skybox in più.

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