Brigata Sassari

17 Dicembre 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dagli Uffizi di Firenze dopo aver parlato al turista svenuto davanti alla Venere del Botticelli. Si chiama sindrome di Stendhal, il grande Marie-Henri Beyle che ebbe un mancamento vedendo le tombe di Michelangelo e Machiavelli a Santa Croce nella Firenze che non deve essere quella di oggi, quella catramata dai cattivi pensieri del calcio, la città che a febbraio radunerà il meglio del basket, o almeno così credono. Per noi condannati a non condividere gran parte delle telecronache e delle voci che ci “regalano” lo sport alla maniera loro questo pericolo di svenimento davanti al bello quasi non esiste. Certo non per la sclerosi del calcio dove vedere tre passaggi riusciti in fila è già un lusso, ma ora che siamo a pochi giorni dalla Caporetto europea sembra che tutto sia tornato al suo posto: paginoni per il prima, il durante e il dopo. Più del deficit di Stato ci si preoccupa per il rinnovo del contratto di Icardi, uno che fa ancora fatica a trovare un posto nella nazionale argentina che pure non brilla di luce. Ma d’altronde diamo ancor retta a Balotelli che sembra avere ragione soltanto su una cosa in questo Nizza senza virtù: per lui non tre, ma due passaggi sono già il massimo nella Francia dei campioni del mondo. Allegri.

Sì certo, anche se da sdraiato, senza arte né parte e tantomeno uno spazio anche minimo, qualcosa riesci a trovare che ti riporta vicino alla fede, la stessa che ci spingeva al vecchio Giuriati milanese, ora indecorosamente lasciato al disastro, per vedere rugby, baseball, per parlare con coach Ferrario dei giorni in cui nello stadiolo di Città Studi anche l’atletica aveva avuto le sue giornate magiche. Be’, sporgendosi un po’ oltre il parapetto ecco la cinquantesima medaglia di Fede Pellegrini nel nuoto, il falco Pellegrino che trova gloria nel fondo veloce e fa correre fino al tavolo di Fazio per la solita recita con medaglia da mostrare in prima serata a chi ulula per qualsiasi cosa venga proposta con lo stile dei venditori di pozioni magiche nel Far West. Non parliamo poi della Calamity Jane Wierer che vince nel biathlon, da sola e con la staffetta, facendoci pentire per aver tradito molte volte gli amici di Anterselva che andavamo a trovare con il Pea quando i nostri capi ci volevano fortunatamente multisport lasciando ai piccoli pavoni in crescita il gusto macabro di dare i voti ai calciatori: più bassi, più incazzature, accidenti come si arrabbiano nella pelota italica. Eh sì, avevamo promesso che ci saremmo impegnati per rendere popolare il biathlon, ma siamo marinai al soldo di gente che dice di conoscere i gusti della gente e che ti fa andare dove piace alla moglie del padrone. Un po’ lo stesso peccato mai perdonato per lo sci di fondo ai tempi del Vanoi. Erano belli davvero, un mondo che sapeva di buono molto più del circo sulle montagne dove i poveri si litigavano il regalo degli sponsor, dove i ricconi erano spietati nell’inventare ricchi premi e cotillon per chi non aveva neppure una giacca a vento decente mentre loro accarezzavano mutande di leopardo.

Tutti traditi. Meglio per loro. A noi tocca la medusa di altri sport, lo scudo che terrorizza anche quando devi andare a vedere quelli del basket prigionieri, certo più del calcio, nei loro impianti maleolenti, scomodi, brutti da morire. Tutto vero, con un gelo in fondo al cuore adesso che abbiamo scoperto come anche nel baloncesto scioperino le tifoserie, quelle guidate dai Masaniello che dirigono i cori senza guardare il gioco. Quale gioco, ti rispondono urlando? Forse hanno pure ragione, perché ormai si tira soltanto e non ci si passa la palla, meglio da tre che da due, non si parla, scusa ho le cuffie. Aria di fronda, dove il mercenario in affitto se ne strabatte di maglia e società, figurarsi dell’allenatore. Abissi per i tre stranieri rimasti alla guida delle nostre squadre: va malissimo per Vucinic ad Avellino, 11 punti in un tempo, è un disastro la Cantù del povero Pashutin rimasto solo in mezzo alle onde del fallimento, sta crollando miseramente il marziano Brown a Torino dove ancora credono a Babbo Natale.

In questo mare sembriamo tutti nostalgici gabbiani prigionieri delle onde al petrolio. Guai a dirlo. Ti ridono dietro. Noi siamo il nuovo, un altro sport. La cosa triste è che ogni tanto trovano nei palinsesti qualcosa per cui vale la pena di sopportare arbitri lumache che fanno durare un partita molto più di due ore, certo col supplementare: stiamo parlando di Sassari-Milano, della decima vittoria su dieci partite dell’Armani che farà tanti record in questo suo viaggio pensando all’Europa, lasciando poche illusioni alle ancelle nel torneo italiano. Tutto molto bello, persino i commenti della terna televisiva di Eurosport e non lo diciamo soltanto per simpatia verso Andrea Meneghin quando vuole essere spiritoso e non palloso ripetitore.

Meravigliosa la fase prepartita: premio a Brooks che vinse il triplete con Sacchetti, un successo dell’allenatore che secondo molti allena poco. Allora come ha fatto quel triplete? Straordinaria la banda della gloriosa brigata Sassari, con le divise della prima mostruosa guerra dove i poveri davano la vita per i ricchi. Inno di Mameli come vorremmo sempre ascoltarlo. Musica bandistica che ci stava bene anche dentro quel palazzo non proprio gioiello. Inutile ripetere che questo Sardara ha fatto e sta facendo cose che altri neppure si sognano, peccato per l’esperimento Cagliari in sofferenza. Non gli perdoneremo mai il divorzio non consensuale da Sacchetti, ma nel tempo, nel bene e nel male, ha fatto il massimo.

Senza svenire per il finale al Serradimigni, trovando nei 47 tiri liberi per Milano una logica. La stessa che fa arrabbiare tutti quando parlano della Juventus, regina madre del sistema, sorella elettiva della squadra di Armani che la segue in tutto, cercando una terza stella, la miglior crioterapia, insegnando ai poveri della feroce, come ci ricorda il Magnificat in rosa, come si può passare per vittime anche avendo tutto e di più. Sì, certo, hanno ragione quelli di Milano a guardare con occhio torvo chi non riconosce che chi fa i calendari ha partecipato alla sceneggiatura del film “Così si ammazzano anche i cavalli”, quattro partite in una settimana, in campo a Natale, Capodanno e alla Befana. Lo sapevamo anche prima di cominciare, fortuna vuole che abbiano gli uomini per stare nella mischia dolce dell’italbasket e in quella più dura dell’Eurolega. Vadano avanti così. Sono il meglio che possiamo presentare in campo internazionale, bravi abbastanza per non farci pensare agli strapuntini dove siedono alcuni degli italiani nati proprio qui.

Sassari per il piacere, Varese per credere che ci sia ancora vita per chi crede nella difesa e nel lavoro, Cremona per la dolce transizione da squadra operaia a terza forza del campionato, Trieste per una notte di magie che fa sognare persino le finali di Coppa Italia anche se manca sempre un euro per fare il milione. Pagelle senza pensare al film di Dario Argento sulla Sindrome di Stendhal.

10 Al COLONNELLO che ha presentato la banda della brigata Sassari in una giornata di basket dove ci è piaciuto quasi tutto: la partita, il lavoro della società, la grinta di Esposito abituato ad essere Davide contro i Golia milanesi.

9 Ad Attilio CAJA che giustamente manda al diavolo chi considera la sua meravigliosa Varese come ostacolo nel prossimo derby al Forum contro la Milano che sarà certo stanca dopo la doppia in eurolega col Bayern e a casa del Panathinaikos. Chiedere l’impossibile si può, ma non per far diventare eroi quelli che poi battono coi cannoni avversari che hanno soltanto lance e molto cuore.

8 A DIANA, anche se espulso, e BUSCAGLIA per come stanno soffrendo e lavorando cercando di portare Brescia e Trento fuori dalle secche di una battaglia per la retrocessione che li sta strangolando.

7 Al SACRIPANTI crudele che interrompe a Pistoia con la sua Virtus il viaggio nei sogni del Ramagli che l’anno scorso occupava la panchina bolognese. La Virtus aveva bisogno di togliersi qualche ragnatela, anche se alla fine, sparito l’Aradori dei primi 17’, ha rivisto piccole streghe.

6 A NEDOVIC il terzo violinista sul tetto dove l’Armani guarda un altro cielo rispetto alle avversarie italiane. Mancava da tempo. Serviva il suo tocco geniale anche se di Sassari Milano ricorderemo James, i 32 punti di Bamforth, il dominio a rimbalzo d’attacco della Dinamo, la notte bella e crudele di Cooley, superbo nella battaglia, pessimo ai liberi.

5 Ad Alessandro MAMOLI se non ci proporrà ogni settimana bei lavori, come quello fatto con il fotografo Marchi, sulla Silent Night del college Taylor nell’Indiana. Sette minuti che hanno folgorato persino viperignu Costa.

4 Per la pessima AVELLINO desnuda vista a Trieste. Certo avevamo sbagliato a considerarla ostacolo medio alto per Milano, ma adesso esagerano con le prestazioni da squadraccia senza capo, con troppe code che si agitano in tempi sbagliati, finti ex eroi della NBA in testa.

3 A POETA che adesso sembra fra i frondisti nel mondo non più tanto magico di Larry Brown dove è davvero difficile spiegare come una squadra accompagnata dalla fanfara al via ora possa fare partite in cui segna 60 punti.

2 A VENEZIA perché questa riconversione alla difesa, lasciando 59 punti a Brindisi, ci fa capire che i peccati di questa stagione nascono soprattutto dalla testa. Tutti ai Piombi e poi all’allenamento. Potrebbe essere la cura giusta anche per il fegato di De Raffaele.

1 Alla CANTÙ sperduta di oggi fra gocce di oligominerale perché la situazione è davvero brutta, soprattutto adesso che la zona retrocessione dovrebbe far capire che prima di salvare la società bisognerebbe far di tutto per salvare la serie A, ma vallo a spiegare al Gerasimenko fantasma dell’opera e a chi vorrebbe prendersi la società e l’area del Pianella.

0 Al PETTEWAY pessimo che ha condizionato tutta la partita di Sassari con il suo nervosismo, che ci ha tolto l’incanto di un musical, che suona sempre bene quando c’è in mezzo la Milano degli sparafucile, con la rissa finale, insieme a Thomas per far andare al tappeto Gudaitis. Peccato.

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