Lo scudetto di Scaroni

20 Novembre 2018 di Stefano Olivari

È significativo che l’intervista concessa da Paolo Scaroni alla Gazzetta dello Sport, qualche giorno fa, sia stata più commentata su Indiscreto che dai commentatori presunti seri. Perché il presidente del Milan in maniera che più chiara non si potrebbe ha spiegato che per un grande club italiano lo scudetto non vale una partecipazione continua alla Champions League. Un po’ discorso da volpe con l’uva, un po’ l’idea di uno consapevole che il club tornerà fra qualche anno sul mercato. Considerazione comunque sul piano finanziario ovvia, perché il meno che un’italiana porta a casa dalla Champions è sui 50 milioni di euro a stagione senza contare l’esplosione delle sponsorizzazioni e gli incassi monstre per quelle poche partite che fanno la storia, ma che pronunciata dal presidente di una squadra tornata ambiziosa fa impressione e dice chiaramente perché si sta assistendo a una fuga degli abbonati del pacchetto calcio di Sky: non è colpa dell’emittente ora controllata da Comcast, ma di un torneo a sei squadre in cui la vera tragedia è finire in Europa League e soprattutto dove il vincitore lo si conosce già in agosto. Con nessuno, nemmeno i tanti filo-americani della mutua che recitano a memoria il payroll dei T-Wolves, che proponga i playoff o un Super Bowl italiano. Così, tanto per sparigliare le carte.

I presunti avversari per lo scudetto invece di competere vendono o permettono che finiscano alla Juventus i loro pezzi pregiati, e si preoccupano soltanto di affari collaterali: De Laurentiis dal convegno di andrologia annuncia che oltre al Bari vuole anche un’altra squadra, nonostante la considerazione che il Napoli con due acquisti potrebbe davvero essere lì per lo scudetto; Zhang ha piani quinquennali, forse decennali, vuole buoni rapporti con la Juventus ed è interessato più che altro all’espansione del marchio Suning (tutto culturalmente lontano da Marotta, fra l’altro: ne riparleremo); a Lotito basta esserci anche se negli ultimi anni ha perso il tocco che gli faceva vendere i giocatori al momento giusto (con Felipe Anderson e Milinkovic-Savic almeno 100 milioni buttati); Pallotta non vede l’ora di scappare, i Della Valle aspettano solo l’offerta giusta per Chiesa, il resto è sbobba per le partite pomeridiane delle 15 della domenica, scelte accuratamente fra le peggiori.

Tornando a Scaroni, nell’Italia non diciamo di una volta ma in quella di qualche anno fa le sue parole avrebbero destato scalpore e fatto riflettere anche interisti, napoletani e romanisti. Con il giornalista medio, non diciamo un genio, che almeno avrebbe chiesto: “Scusate, ma se lo scudetto vale meno della partecipazione alla Champions allora si gioca solo per non arrivare quinti?”. In questa Italia dei consumatori sedicenti intelligenti, delle scimmie ammaestrate che urlano ‘De-fence’ credendo di essere al Boston Garden, dei tifosi attenti al fair play finanziario (traduzione: farsi prendere per il culo dagli arabi e da chi era già forte prima del fair play), dei progetti a lunghissima scadenza, dello storytelling, dei maestri di calcio che ti spiegano che il risultato in fondo non conta, dei turisti a casa propria, invece sembra tutto normale.

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