La più bella di Armani

5 Novembre 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni nel giardino della nostalgia per non aver potuto andare al Café Saint Moritz di Buenos Aires, tra Esmeralda e Paraguay, nel Barrio Norte, per festeggiare con la banda del Flaco gli 80 anni di Luis Cesar Menotti, allenatore di calcio campione del mondo, filosofo, capo della setta fra i poeti estinti. Avremmo avuto bisogno di bere qualcosa con lui sentendo da lontano la voce del suo grande amico Ruben Dario Oliva, medico dello sport geniale non amato da tutti, ma capito da molti dei campioni che al dottore chiedevano di poterla correre, giocare, la finale, perché altrimenti a cosa serve la medicina sportiva, direbbe lui, se devi solo consigliare riposo. Pareri, momenti. Stare alla stessa tavola di certi uomini straordinari dello sport, giganti che adesso sembrano anche più alti se intorno pensi di avere la banda di Lililiput, una delle tante convinta di avere un Nazareno in casa, basta che a proteggerli ci sia un po’ di ricchezza e molta prepotenza.

Col Flaco stavamo bene, così come stavamo bene con Julio Velasco, Bengt Herman Nilsson, Liedholm, Oberweger, Boskov, Bagnoli, Rocco, Mondonico, persino il professor Vittori anche se con lui era sempre battaglia, perché fra gli uomini coi muscoli di seta è così, come staremmo bene se potessimo chiedere a Rudic cosa si prova nella vasca degli invidiosi e la stessa cosa faremmo con Sacchi. Argentina madre santa e Menotti ci aiuterebbe a capire come abbattere il muro dell’ignoranza adesso che Paola Egonu, meraviglia diciannovenne del volley mondiale, ha abbattuto quello dell’ipocrisia spiegando che dopo la sconfitta nella finale l’unica consolazione è stata parlare con la sua fidanzata.

Lui la guida per capire questi che ci sono adesso, anche quelli che molti credevano soltanto colorati per piacere alla gente e invece si rivelano meno fessi di chi credeva che fossero soltanto chiacchiere ora che la cittadella del CONI è assediata dal Governo all’esterno, perché i soldi fanno gola tutti, no, certo, non il concetto di sport e poi all’interno la difesa diventa debole, Malagò contro Barelli, il calcio contro il numero uno, altri borbottanti, allora è facile capire come il Magri, ex capo del volley quasi meravigliao, arruolato nella squadra gialloverde, abbia spiegato bene come si poteva aprire la cassaforte al palazzo acca. I maestri dello sport rimasti guardano spaventati, come tanti, al cambiamento per non cambiare e si domandano se basteranno le chiacchiere e la fortuna per trovare   gente da medaglia per Tokio 2020 perché i Marco Lodadio, recente bronzo mondiale agli anelli, non puoi allevarli con gli slogan.

Ma torniamo al mate con Menotti, per condividere due pensieri sulla vecchiaia che ti rende invisibile, se va bene, malvisto se va come sta andando, perché purtroppo non si diventa più saggi: “La verità – ha confessato il Flaco a Repubblica – è che si perde la voglia. La saggezza nasce dalla partecipazione. Con l’età ti stanchi prima e la saggezza se ne va a la mierda. Rassegnarsi? Si continua a discutere e studiare, ma le cose che prima ci rendevano ribelli e combattivi adesso danno soltanto tristezza nella grande bugia del finto progresso dove gli affari hanno distrutto la relazione affettiva fra le gente e i suoi campioni”. Noi aggiungiamo i campioni di molti sport, dove conti soltanto se sai maneggiare denari e contratti, non insegnare davvero a stare al mondo e sul campo perché è vero, come dice il grande argentino, che si gioca come si vive.

Prendiamo questo campionato di basket che si è tolto un altro velo perché adesso appare chiaro che Milano può giocare con una mano legata dietro la schiena come a Torino e vincere di 20 una partita che poteva chiudere a più 40 anche se nessuno oserebbe mai dire che il Pianigiani belli capelli vale più del povero Larry Brown che magari si sarà chiesto perché è ritornato a guidare giocatorini presuntuosi e basta che hanno dovuto chiedere aiuto al vecchio pirata Poeta e persino a Cusin per fare una figura almeno decente davanti al popolo in rosa per la ricerca contro il cancro, ad Allegra Agnelli, al Cuadrado juventino. Si sapeva, direte voi. Be’, abbiamo avuto in passato prove che non bastava il vestito, ci voleva qualcosa sotto come sanno i principi della moda e non soltanto loro. Adesso, dopo cinque giornate, che sono nulla ma forse bastano a capire, sembra chiaro che la vera anti Milano è soltanto Venezia che ha fatto cadere il castello di carte di una Virtus Bologna che certo non aveva bisogno di altri giocatori infortunati, mentre era più logico cercare di allungare la panchina e, magari, ritoccare il quintetto.

Pensavamo che Avellino potesse dare fastidio, ma poi la sua idea difensiva ci ha fatto capire che se anche ne facessero 90 a partita rischierebbero di prenderne 91. Sassari ed Esposito hanno qualcosa di speciale, ma anche loro sono stati già misurati e pesati e trovati mancanti. E Cremona. Dai. Sta facendo cose stupende e ci congratuliamo con Meo Sacchetti perché quando ha capito di avere meno talento ha cercato una strada per mettere cavalli di frisia a protezione del castello di torrone. Congratularsi non vuol dire aver perso di vista la realtà. Ora sarà corsa a due, Venezia non è ancora al completo, ma per essere davvero l’alternativa al super potere di Milano le servirà una dolorosa rivisitazione di ogni piano partita. De Raffaele è davanti al cimento più importante di una bella carriera, saper scoprire, appena dopo il riscaldamento, chi deve stare in campo e chi seduto in panchina. Dosaggio delicato. Troppi uomini confondono, come ha fatto capire l’uomo della Lupa l’anno scorso al momento di andare per lo scudetto, senza guardare in faccia nessuno. Serve sangue freddo. A noi piacerebbe anche che gli allenatori avessero coraggio e generosità, ma sono i pensieri della tristezza, come quando non trovi neppure il tuo nome sul tavolo da lavoro. Unico dispiacere di una scoperta a 25 giornate dalla fine, con le forche di coppa Italia, è immaginare i venditori per una probabile finale al Forum e al Taliercio, giorno e notte, grande arena da concerti una, polenta soffocante l’altra, e non tutti i venditori hanno l’abilità del marketing Armani, forse la squadra più bella inventata da chi guida la società nel nome di re Giorgio.

Ora di dare voti e pagelle rimpiangendo di aver mancato il brindisi col Flaco e di essere stato all’ultima lezione magistrale di Ivano Dionigi, pesarese da curva nel vecchio hangar che portò alla tavolata record per lo scudetto, ex magnifico rettore dell’alma mater bolognese, ma ci siamo sentiti ben rappresentati visto che c’erano Renato Villalta, genio della lampada virtussina, e Isabella Seragnoli, regina, un tempo, del baseball Fortitudo così diverso, nei concetti, non nello spirito, dal basket Fortitudo di Giorgio S. che, come noi, oggi piangerebbe sapendo che fanno a botte e si feriscono i gruppi del tifo più acceso.

10 A Toto FORRAY l’unico approdo sicuro per la scialuppa di Trento che ora è sballottata dalle onde. Se Buscaglia ne troverà altri quattro come questo argentino da seggio regale in Gran Consiglio magari non arriverà, come l’anno scorso, fino alla finale scudetto, ma almeno passerà qualche notte senza l’incubo di essere messo in discussione.

9 A Vlado MICOV perché non esiste giocatore nel nostro campionato che possa paragonarsi a questo fenomeno dal fascino slavo, uno che sembra sempre un po’ annoiato, ma che si accorge prima di tutti cosa serve. Sbaglierà anche qualche partita, ma è a gente come lui che si lega chi ama davvero una squadra e la Milano europea è proprio nelle sue mani, sì anche di James, ma il fosforo è a Est.

8 Al BILIGHA quasi ritrovato nella sfida stravinta da Venezia contro la Virtus nuda al centro e non soltanto. Pensavamo che fosse depresso e quasi perduto. Sbagliavamo, come del resto era accaduto con Tonut. Cara Azzurra Fremebonda stai serena, qualcosa di muove.

7 Al doge VITUCCI che ci ha fatto arrossire per aver parlato troppo presto delle qualità misteriose di Russki Cantù. La sua Brindisi ha smascherato la debolezza mentale di una squadra che non può segnare 5 punti in un tempo e pretendere di essere presa sul serio, neppure quando va in testa per le multe pagate dopo troppi insulti.

6 Alla FIAT come società per come ha preparato e gestito la “partitissima” contro Milano. Ora serve qualcosa di più perché appare evidente che la distanza è abissale e dovrebbe disturbare che la vera affinità con la Juventus sia della squadra di Armani.

5 Ai NEMICI come noi dell’italiano in campo per diritto di nascita e non valore tecnico. Nell’ultima giornata molti quasi azzurri ci hanno smentito. Accettiamo la pernacchia stereofonica. C’è vita nel pianeta Petrucci e non soltanto nell’Emilia del suo favorito Tedeschi.

4 All’AVRAMOVIC varesino per cui abbiamo litigato spesso, uno che ha dato anche grandi soddisfazioni, ma che diventa indifendibile quando fa partite come quella di Reggio Emilia, anche se Ledo è davvero un brutto cliente.

3 A Pino SACRIPANTI se dovesse farsi scoraggiare dopo le ultime due esibizioni in campionato di una Virtus che avrebbe bisogno di stare una po’ chiusa in casa dicendosi in faccia la verità, aspettando che si trovi una strada per avere almeno tutti sani.

2 A PISTOIA se si faranno prendere dal panico proprio adesso che sembra andare in porto il progetto per un nuovo palazzo. Resistere con quelli che ci sono, facendo tacere i molti che hanno sempre la stessa soluzione: cambiare gli allenatori.

1 Agli ARBITRI che ci stanno confondendo con le partenze in palleggio e sugli sfondamenti. Forse sarà meglio radunare di nuovo allenatori e capitani per evitare il festival del mimo scontento su ogni campo dove già esagerano i finti giocatori leali.

0 A Romeo SACCHETTI se avesse voglia di protestare con la RAI che domenica sera lo manderà in diretta alla stessa ora di Milan-Juventus. La sua Cremona meriterebbe di essere vista e non soltanto immaginata.

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