La morte del Bitcoin

19 Novembre 2018 di Indiscreto

Gli stalker del trading online non demordono, mentre da qualche settimana a questa parte gli spacciatori di iscrizioni a piattaforme per trattare Bitcoin sono scomparsi. C’entra forse qualcosa il fatto che mentre stiamo scrivendo queste righe la criptovaluta entrata ormai anche nei discorsi da bar (sul serio) ha una quotazione di 4.474 euro. Rispetto al massimo di 16.724 di meno di un anno fa (16 dicembre 2017) una perdita di oltre il 73%. E rispetto ai 5.634 euro di lunedì scorso siamo a un comunque imbarazzante meno 20% in una sola settimana… Roba da Carige, o giù di lì. Detto che qualsiasi bene, e quelli immateriali come la moneta più degli altri, non ha un prezzo ‘giusto’ ma solo un prezzo che in un dato momento un acquirente è disposto a pagare, troviamo nella sua follia interessante la discussione su supporti e resistenze del Bitcoin, come se stessimo parlando di Apple o Generali.

In sostanza molti evangelizzatori della criptovaluta oltre al fatto che il Bitcoin a fine 2018 supererà quota 12.000 (ma abbiamo letto anche previsioni che lo danno sotto i 2.000) sostengono che esista un valore minimo sotto il quale il Bitcoin non dovrebbe andare, a causa della sua componente per così dire fisica. Abbiamo osato chiederlo a uno che traffica in queste cose e questo ci ha risposto che dipende dal mining. Qui la nostra formazione piccolo borghese, quella ti fa vergognare della tua ignoranza, è venuta fuori e non abbiamo quindi chiesto cosa sia questo mining. San Google ci ha detto che la gestione della blockchain (la catena della varie verifiche delle transazioni, in fondo la parte davvero innovativa di tutta la vicenda Bitcoin) richiede un certo utilizzo di energia e che quindi ogni zona del mondo abbia un diverso valore di mining, che i più collocano intorno ai nostri 6.500 euro. Traduzione: se il prezzo cade sotto questa soglia dovrebbe necessariamente risalire. Se state pensando alla Pro.Ve.Co pubblicizzata da Cesare Cadeo (prometteva un rendimento del 20% trimestrale investendo in banane) o alle dacie rumene di Mendella (5 milioni di lire l’una, se non ricordiamo male), sappiate che anche noi avvertiamo queste vibrazioni. Eppure…

Eppure riteniamo che i Bitcoin non siano il demonio, per lo meno non più di una qualsiasi moneta sovrana di una stato cialtrone, e che anzi con il loro meccanismo di scarsità relativa (traduzione: esiste una quantità programmata di criptovaluta, non può esserne ’emessa’ di nuova a sorpresa) non siano un’idea da buttare. Il loro vero problema (ma anche in parte causa del suo successo) è l’anonimato, che può essere mitigato dalle piattaforme di trading anche se poche lo fanno, seguito dal terrore di rimanere con il cerino in mano che rende la volatilità elevatissima. Chiaramente gli stati che devono piazzare la loro spazzatura hanno buon gioco nel terrorizzare il popolino, ma uno che investe in Bitcoin non è di base più stupido di chi compra titoli di stato dell’Argentina, un paese che in un secolo è andato quasi in doppia cifra fra default e ristrutturazioni del debito. Conclusione? Non compriamo e non compreremo mai Bitcoin, ma non sono totalmente una stupidaggine. Anche se pare stiamo morendo. Nascerà qualcosa di simile.

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