Dolce & Gabbana o Cina?

25 Novembre 2018 di Indiscreto

Sono peggio i boicottaggi di Stato organizzati dalla Cina o le pubblicità di Dolce & Gabbana? La recente vicenda che ha visto protagonisti i due stilisti italiani sarà ricordata più che altro per il grottesco video di scuse di Dolce & Gabbana, in stile ‘My name is Maurizio Cocciolone’, ma è secondo noi istruttiva soprattutto per un altro motivo: perché la Cina da tanti idolatrata come modello di sviluppo ha disastrato di potersi scatenare a mille livelli contro un’azienda europea, anche grossa, con un pretesto davvero futile come quello di uno spot basato su stereotipi. Con lo stesso metro l’Italia dovrebbe boicottare decine di aziende, visto come siamo mediamente rappresentati non solo nella pubblicità (anche in quelle di D&G, piene di virili pescatori, di simil-Malena e di paramafiosi). Però stranamente appena si parla di dazi per arginare la Cina il liberista della porta accanto ti dice che così non si fa, che il WTO non si discute, che la globalizzazione porta opportunità che bisogna saper cogliere, che è una meraviglia andare a Formentera senza dover cambiare le lire in pesetas, eccetera. Insomma, tutte le lezioncine spocchiose hanno portato al potere Cinque Stelle e Lega.

Non è che contro i due stilisti si sia schierato Xi Jinping in persona, ma in uno stato totalitario per attivare il sistema mediatico ed economico bastano pochi istanti e a volte nemmeno un ordine esplicito. Insomma, chi si entusiasma per i capitali cinesi in Europa forse avrebbe più libertà di espressione facendosi finanziare dal Cartello di Medellin o da Messina Denaro. Il ‘Di qua o di là’ non riguarda quindi questa vicenda in se stessa: è chiaro che solo un paese ridicolo, per quanto potente come la Cina, si può offendere per una ragazza che prova a mangiare la pizza con le bacchette o per l’allusività di un cannolo (non ci avrebbe pensato nemmeno Tinto Brass). La domanda riguarda l’eterno ‘noi o loro’ culturale, dove il ‘loro’ può cambiare ma nella nostra testa, di destra o di sinistra che sia, è quasi sempre più arretrato, più ottuso, in una parola ‘peggiore’.

Vale la pena di uniformarsi ad una correttezza politica mondiale, oltretutto a senso unico, nel nome del commercio o del quieto vivere spacciato per pace? La domanda ci sta, visto che il caso Dolce & Gabbana è nato da una stupidaggine e si è concluso con scuse penose, a tutti i cinesi del mondo (“Che sono molti”, ha spiegato argutamente Gabbana), ma allargando il discorso (e la vicenda Huawei-Stati Uniti può essere un buon esempio) riguarda un mondo in cui quasi tutti gli stati fanno i propri interessi mentre alcuni si vergognano anche soltanto di chiedere reciprocità. Dolce & Gabbana o Cina? Al di là del fatto che dopo queste scuse bisognerebbe fare a meno sia degli stilisti sia dei cinesi.

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