Jura, Kenney e quel derby che ci manca

10 Ottobre 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni da Amblar, località con acqua della Val di Non dove si beve buon vino, per il giorno della memoria. Il Grigo day, raduno per chi non vuol essere un numero primo ma si accontenta di stare bene con i presunti secondi. Siamo sempre meno, anche troppi diranno i compilatori di liste nere, anche la moglie del Grigoletti fa fatica a raggiungere la montagna da dove Franco partiva per trovare la felicità fra le trote, libri di Simenon e i giocatori di morra. Le notti senza fine, i giorni dove era bello stare insieme, anche andando contromano leggendo quello che dava sollievo alla mente e all’anima, anche se poi si litigava su certi autori e certi contenuti, mandando a quel paese, ostia, quelli che adesso la fanno facile perché vengono benedetti da lorsignori avendo accettato tutte le regole del gran ciambellano per la servitù su carta e nel computer. Giornata dai sapori antichi grazie a O Giganton che ha un anima grande come la sua bella statura, grazie a tutti, anche se ci resta il rimpianto di non trovare parole adeguate davanti a quella meravigliosa foto sulla lapide salvo le solite: un bel Grigo che ancora ci guarda e speriamo ci protegga. Di sicuro ci ha protetto nel ristorante della famiglia Casamassima a Trent di Fondo, Alta Val di Non. Cucina sublime, ambiente meraviglioso, fuori e dentro, poi il Teroldego della casa anche se il Pea avrebbe giustamente voluto quello degli Indrizzi, la cantina sociale delle nostre zingarate post stagione, quando era concesso respirare almeno per sette giorni.

Tempi andati. Bei tempi. Pazienza se ci prenderanno in giro per averli ricordati ancora una volta nel mondo di chi a cavallo di un drone guarda molto più avanti e considera gli altri soltanto come numeri, primi se stanno con loro, zero scarabocchio se vanno dietro alle fissazioni degli anziani braccia dietro, legate, davanti al cantiere, che rimuginano con le solite frasi del genere “era meglio prima”. Per far capire al Grigo che non ci stavamo inventando niente, felici di ascoltare i racconti di Ivano sulla morra senza fine, del Daniele sulle scope fino all’alba nel covo del Santa Lucia che accoglieva gli uomini della notte, i grandi che chiudevano le pagine dei giornali milanesi e poi si prendevano almeno una pausa per non parlar bene di tutti, dei capi, dei brocchi, dei fasulli.

Ciao amico per sempre, ma a Milano ci aspettavano i Maturi baskettari che si sono inventati il basket overtime, il museo del basket lombardo, il dottor Papetti e il Paolo Bianchi, con il fratello del Dante Gurioli che nell’altra Milano è stato tutto, giocatore, assistente, allenatore, per una serata da dedicare al derby di Milano che manca come quello di Bologna. Microfono e luci per Flavio Tranquillo, che, come il Chiabotti e tanti giovani “ribelli”, tipo il direttore di questo sito che ne ha fatto pure un bel libro, tifavano per l’altra Milano anche prima che arrivasse Chuck Jura. Il Flavio smagrito che ci ha sorpreso chiedendo una fotografia del barone Sales. Stanchi abbiamo ricordato cose che alla gente interessavano poco. Alla domanda su chi fosse l’uomo del Lamber, il Riccardo cuor di leone, avremmo dovuto dire semplicemente tre cose: una bella persona, un eccellente allenatore, un grande amico per sempre. Stop. Ma torniamo ai campioni.

Eccolo là sul grande schermo Chuck, il figlio dello sceriffo, subito dopo Arturo Kenney in smoking dalla grande mela con la stessa faccia che aveva quando non accettava un cambio e imprecava dando al professor Guerrieri la possibilità di interpretare la parte del genio: Con chi ce l’aveva – diceva rivolgendosi al Gurioli che sapeva bene con chi era furioso mister 44 fisso – ce l’avrà con gli arbitri e a ragione…”. Momento sublime da passare con due campioni indimenticabili che avrebbero messo d’accordo chi ama il bosco e la riviera e persino Sacchetti che, giustamente, fa sapere ai pochi colti e a quasi tutti gli altri, che preferisce guardare dentro gli uomini piuttosto che spulciare fra le cifre di un giocatore. Per questo non lo pensiamo in nessuna banda. Rivederli nei racconti della vecchia Rai del Giordani indimenticabile prima di passare la serata con quasi amici, nel ricordo di 51 derby nati alla Forza e Coraggio per sperimentare l’assurda innovazione proposta dai filippini con il canestro a 3 e 66.

Un mondo nel teatro in zona Trenno per questa organizzazione senza fine di lucro che presto darà una casa d’accoglienza ai bambini malati gravemente e alle loro famiglie. Soltanto per questo avremmo abbracciato Papetti e Bianchi anche se poi li avremmo presi a bastonate vedendo le immagini di quando erano giocatori. Soprattutto Bianchi. Un talento di sicuro, peccato che fosse così emotivo. Notte per grandissimi come Vittori, Pieri, il capitano, l’arguto Gatti, Dal Pozzo, Gamba l’uomo per tutte le grandi stagioni del nostro basket e non soltanto a Milano, Bariviera (eh sì, fa arrabbiare ma è stato grande davvero), Longhi, Giando Ongaro che smise per studiare e diventare quellohe è oggi, uno che sa pensare, il Toto Bulgheroni che deve resistere perché abbiamo bisogno di gente come lui nel grande basket di oggi che punta ancora su Bagatta per una nuova televisione, il Valentino Milanaccio, nella speranza che ritrovi passione per il basket che fu orgoglio di famiglia. Poi Farina e quel bel racconto sui tempi del vincolo e del tiramolla fra Forti e Liberi, Milano non Olimpia e Cantù.

Sublime il Lucarelli dei due mondi, stupendi Guidali e Veronesi, figli della Robur varesina vera scuola di basket e di vita nel ricordo del professor Blini trovato in casa Milano oltre il confine, aneddoti che hanno fatto sorridere Fosca Guerrieri, vera grande di Romagna anche adesso che deve andare in giro con il deambulatore. Un abbraccio al Maifredi che ha rivisto il padre nei tempi in cui con Tricerri avevano fatto della Lombardia un regno speciale, alla faccia di Scuri, partendo dai mini, giocatori ed arbitri. Una carezza per il Marzorati smanioso che l’anno prossimo ci porterà Cantù e la sua storia, nella speranza che non sparisca tutto. Una carezza anche per il Cappellari che in quei derby era dalla parte forte del sistema, ma che ne ha vinti col Faina anche quando le casse erano vuote e le carrube non si vendevano. Festa per tutti, ma notte speciale per Natale Redaelli, l’uomo che con il dutur Cattaneo, rappresentato dalla sua dolcissima figlia, ha vissuto tutti e 51 i derby milanesi del basket. A 82 anni Natale resta il grande amico di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e non soltanto perché vendeva cibo celestiale.

Share this article