L’inguardabile calcio femminile

20 Settembre 2018 di Stefano Olivari

Il calcio femminile italiano volta pagina, almeno dal punto di vista mediatico: dalla prossima domenica, con la diretta di Juventus-Chievo (ore 12.30), la Serie A sarà infatti trasmessa da Sky Sport in base a un accordo fra la FIGC e l’emittente oggi controllata da Murdoch ma domani forse non più. Nessun danno per noi abbonati di Sky, visto che non ci hanno chiesto soldi in aggiunta, una buona occasione di visibilità per le calciatrici, uno spazio di palinsesto vuoto (a quell’ora c’è una delle tre partite di A trasmesse da Dazn) che adesso viene riempito con qualcosa di vivo. Tutti contenti, quindi. E per la FIGC uno dei pochi segni positivi del disastroso commissariamento di Fabbricini, concluso in bellezza con serie B e C nelle mani del TAR e di infiniti gradi di giudizio.

La riflessione è quindi sul calcio femminile in generale, che esce dalla clandestinità soltanto quando si qualifica per il Mondiale (e il 2019 è una di quelle volte), ma la cui serie A è seguita soltanto da amici e parenti delle giocatrici. 12 squadre e quindi 22 giornate, con una intelligente politica di affiliazione al calcio maschile: ben 8 su 12 sono infatti collegabili, magari non direttamente ma anche solo come collaborazione, al calcio professionistico degli uomini. Juventus, Fiorentina Women’s, Women Hellas Verona, Atalanta Mozzanica, Sassuolo, Chievo Valpo, Milan, Roma… In attesa della promozione dell’Inter. In altre parole, si spera che l’italiano medio almeno per i nomi delle squadre dia un’occhiata al calcio delle donne. Un ragionamento sensato, ma con purtroppo un limite: il calcio delle donne è inguardabile.

Lo è per velocità, tecnica, agonismo, perché fino a prova contraria le donne sono diverse dagli uomini, ma lo è soprattutto per l’identificazione geografica, culturale, etnica, sentimentale, eccetera, che il calcio maschile fa scattare (anche nelle donne, che sono le prime a non essere interessate al calcio femminile come spettatrici) e quello femminile no. Frutto di secoli, anzi millenni, di maschilismo e di rapporti di potere ben precisi: non è una bella cosa, ma è così. Ci si mette anche la specificità del calcio, che rende le distanze incolmabili: se il volley femminile è addirittura meglio di quello degli uomini, con tennis e atletica che se la giocano, il calcio ha purtroppo meccanismi che a seconda del sesso lo trasformano in due sport diversi. Poi la dignità della pratica sportiva è fuori discussione e vale dall’oratorio al Mondiale, dalle bocce alla NBA, ma per investire due ore della propria vita davanti al televisore ci vuole almeno un motivo, per stupido che sia. Un discorso che vale anche per Udinese-Torino di serie A maschile: non siamo tifosi di nessuna delle due squadre, non dobbiamo scriverne per lavoro, non abbiamo scommesso sulla partita, non ci sono personaggi interessanti. Perché mai dovremmo guardare Udinese-Torino? Ecco, per il calcio femminile vale lo stesso discorso. E l’affiliazione a quello maschile oltre che un buona idea di marketing è anche un’ammissione di inferiorità.

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