Il mistero delle scommesse in perdita

17 Settembre 2018 di Stefano Olivari

In molti danno per scontata la correlazione diretta fra crisi economica e scommesse, pur essendo l’andamento dell’economia ciclico (o comunque discontinuo) mentre il trend delle scommesse è lineare. La tesi del giornalista collettivo, quasi esplicita, è che nei momenti di difficoltà la gente tenda più che in altri periodi a cercare di risolvere i problemi con una botta di fortuna invece che con il lavoro (che magari non c’è). Se così fosse allora ci dovremmo preoccupare, perché in agosto la spesa per le scommesse sportive in Italia è stata di 111,3 milioni di euro, in crescita del 34,3% rispetto all’agosto del 2017. Siamo del 34,3% più disperati rispetto a un anno fa?

Parliamo di scommesse legali, 61,4 milioni da agenzie fisiche e 49,9 milioni dall’online, quindi figuriamoci quelle illegali che non è di per sé che abbiano quote migliori (siamo a livello del Betfair vero, quello inglese, per fare un esempio pop) ma presentano spesso qualche plus tipo il non anticipare i soldi e il poter puntare cifre più alte. Tornando alla legalità, da inizio anno il totale speso in scommesse sportive è di 963,4 milioni (+42,2% sui primo otto mesi 2017). Vi sembra tanto? Allora sappiate che è quasi la stessa cifra spesa dagli italiani nelle incredibili (incredibile è che qualcuno ci creda) scommesse virtuali, campionato che Napoli vince con 173 milioni davanti a Roma (71) e Milano (56).

Un luogo comune confermato dalle statistiche è che chi gioca online sia più preparato e conoscitore dello sport (o amico di uno dei giocatori, magari) di chi gioca in agenzia: chi gioca online si vede ritornare l’89,8% delle giocate sotto forma di vincita (il famoso payout), chi gioca fisico il 77,6%. Non occorre grande perspicacia per notare essendo i margini così ridotti rispetto ai ‘vecchi’ payout (traduzione: le quote sono mediamente più alte, in rapporto agli eventi) qualche operatore guadagnerà e diversi altri perderanno. Come mai allora non passa giorno senza che nascano siglette e sitarelli, tutti ovviamente con autorizzazione ministeriale (per quelli senza autorizzazione invece manca solo il cartello ‘Camorra’), con bonus e quote quasi al limite, come se il loro principale problema fosse di far girare i soldi e non di generare profitti? La domanda è buona, ce lo diciamo da soli.

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