Il grande bluff dei giovani dell’Atalanta

11 Settembre 2018 di Andrea Ferrari

Le prime partite di Nations League hanno confermato la crisi del calcio italiano, se per calcio italiano intendiamo quello giocato dagli italiani. E nel desolante panorama della Nazionale attuale spiccano tra i calciatori più deludenti quelli provenienti dal settore giovanile dell’Atalanta. Eppure molti degli editoriali di questi tempi grami sono pieni di “Ah, se anche le altre squadre italiane avessero un settore giovanile come quello dell’Atalanta…” e “Il settore giovanile dell’Atalanta è tra i migliori al mondo”: fra i grandi mantra del calcio italiano le lodi al vivaio bergamasco occupano un posto d’onore. Verità o luogo comune?

Che il settore giovanile orobico sia fra le varie classi di età tra i più vincenti (anche se non conquista lo scudetto Primavera dal 1998) è un dato oggettivo, così come il fatto che i calciatori del suo vivaio vengano spesso annoverati tra i più promettenti: basta vedere a quanto vengono venduti per capire la considerazione di cui godono. Tuttavia è dai tempi di Roberto Donadoni che nessuno di questi talenti abbia mantenuto poi le promesse-premesse ad alto livello. Diversi buoni professionisti, ma pochi da convocazione nella Nazionale maggiore e nessuno definibile un campione. Un dato su tutti: l’ala del grande Milan di Sacchi è stato l’unico giocatore del vivaio nerazzurro ad aver disputato un Mondiale nel periodo più recente (dal 1990 al 2006) in cui la Nazionale italiana poteva essere annoverata tra le migliori al mondo.

Morfeo, Gabbiadini, Montolivo, Gagliardini, Baselli, Donati, giusto per citarne alcuni, si son rivelati tutt’al più giocatori normali, con al massimo qualche buona stagione in club di medio livello come accadde a Pazzini nella Samp e a Montolivo alla Fiorentina (al Milan invece può ambire alla top 10 dei più insultati di sempre), per non parlare di uno come Pinardi che pareva destinato a diventare un fenomeno e invece… La stessa Atalanta attuale, nell’inedita dimensione europea, ha avuto tra i titolari solo un giocatore proveniente dal vivaio: Caldara. Se la spiegazione della mancanza di “personalità” pare – anche statisticamente – davvero ardita, quale può essere allora una valida?

Guardando le partite Primavera l’impressione è che questi giocatori, negli anni dello sviluppo, godano di un importante vantaggio fisico sui coetanei (che li fa anche sembrare tecnicamente migliori) che poi vanno a perdere una volta varcata la soglia dei 22-23 anni. Beppe Signori, uno degli attaccanti più forti nella storia del calcio italiano, pur essendo nato a 3 km da Bergamo, non è mai stato scelto dall’Atalanta. Troppo gracile. Stessa sorte è toccata ad Andrea Belotti, adesso uno dei migliori attaccanti della Serie A, ma adolescente che non faceva prevedere lo sviluppo fisico che poi avrebbe avuto (infatti scartato dall’Atalanta ripiegò sull’Albinoleffe). Questa del fisico superiore ai pari età è solo una spiegazione delle mediocri carriere ‘adulte’ di molti atalantini, ce ne possono senz’altro essere altre. Fra queste che oggi i settori giovanili di quasi tutta Italia non sono tenuti in piedi per fornire giocatori, almeno di fascia bassa, alla prima squadra, ma soltanto per creare plusvalenze. Tornando alla Nazionale, la considerazione è una: lavorare bene sul settore giovanile (e in pochi lo fanno, oltretutto) non significa automaticamente produrre giocatori da Italia, se questi giovani promettenti non hanno uno sbocco in serie A.

Share this article