Come l’Italia di Mancini

18 Settembre 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla Nuova Aquitania, cantone di Talence, zona Bordeaux, terra di sogni se arrivi fino a Limoges per il basket ricordando l’Azzurra di Gamba poi campione d’Europa a Nantes. Tenendo in tasca l’ultimo “A fil di rete” del granata Aldo Grasso sulla funzione del telecronista che regredisce a livello scolastico con la smania di voler essere il protagonista su una scena dove i campioni, o presunti tali, stanno in campo e non ci sfasciano con il vangelo catodico degli urlatori genuflessi che fanno diventare una meraviglia il passaggio di Luca Vitali, bello perché era semplice, e non richiedeva uno scienziato nell’esecuzione, dentro l’area nell’ultima fatica della Fremebonda Azzurra del basket in Ungheria.

Perché Talence, direte voi? Be’, avevamo un conto in sospeso con il meraviglioso pianista decathleta francese Kevin Mayer che ci aveva fatto sballare nei pronostici agli Europei di Berlino. Con il mondiale a 9.126 punti ci ha ripagato della fatica per un viaggio che avevamo già fatto volentieri, quando non eravamo il nulla di oggi, per Thompson (’82 e ’84)e O’Brien(’92), immaginando il paradiso trovato da Eaton fra il 2012 e il 2015. Questi del decathlon sono davvero fenomeni, come del resto quelli del triathlon, personaggi con cui stai bene anche se in gara non riconoscono più nessuno e, magari, si fanno eliminare per tre nulli cercando il massimo, fregandosene se trovano meno del minimo. Atletica grande sport, vita, persone, cultura, cosa che al momento non sai dove trovare in Italia a meno che non sia giusta l’intuizione di Salvino Tortu per il grande Filippo, a meno che Tamberi non trovi qualche altro disposto ad aiutarlo per togliere ragnatele al sistema. Eravamo in Aquitania dopo aver rinunciato alla maratona di Berlino anche se era certo che l’uomo del latte, il pastore Nandi, Eliud Kipchoge, avrebbe scatenato la fantasia di quelli che amano stupire con i paragoni impossibili, portando il record sui 42 chilometri vicino al muro delle 2 ore accarezzando la porta di Brandeburgo. Il New York Times, copiato da chi sa copiare, ci ha detto che Eliud legge Aristotele e pensa cercando fra i pensieri di Confucio per stare rilassato nella gara dove ti senti solo troppe volte.

Voglia di tenerezza per lo sport italiano che presto farà i conti con chi i conti non li sa fare, incantati dalla nuova fioritura del canottaggio per far felice dove si trova adesso (così lontano da noi?) il dolcissimo Michele De Lauretis, non stupiti dalle farfalle della ginnastica ritmica perché il centro di Desio è la loro Cape Canaveral curata con amore e passione.

Tanti viaggi per non raccontarvi del disagio che fa diventare pesanti i passi nel giardino della passione cestistica. Persino Bologna, sempre meravigliosa se la guardi cercando oltre la Sala Borsa, amicizie che ora sono soltanto fredde cortesie, ci ha fatto sussultare più di una volta mentre inciampavamo nel nuovo potere, nel nuovo mondo dei canestri che, ahinoi, non è più il nostro. La cattedrale del Pala Dozza è sempre stupenda, ma col torrido all’esterno è un calvario se ci fai giocare gli omoni dei cesti: la federazione ha pagato e avuto un po’ di fresco (ricordiamo con affetto che per quell’impianto pianse lacrime amare il caro ex compagno della Canottieri Enzino Lefevre, ai tempi di Seragnoli) per Azzurra Fremebonda che, nel tiro a segno contro la Polonia della difesa mia non ti conosco, ha visto la luce nel terzo quarto. Purtroppo non è andata nello stesso modo il giorno dopo in quello che, unica cosa che ci trova d’accordo con tifoserie splendide ma con la fantasia azzerata dalla voglia fissa di un insulto, lo striscione nella curva virtussina ci diceva che non esistono derby amichevoli. Bella trovata per onorare il memorial Gigi e Paola Porelli, ma, purtroppo, non onorata da tutti, quel vuoto nella curva Schull faceva male perché l’evento meritava che Caino ed Abele dimenticassero tutto il resto. Certo, era logico che non ci fosse partita, che gli allenatori lavorassero pensando ad un campionato che comincia in ottobre. Meno logico parlare di Pillastrini per sostituire Martino alla Fortitudo già adesso, come ha sentito qualcuno nelle notti del mugugno, normale invece vedere facce dubbiose in casa Virtus dove i nuovi stranieri devono giocare anche contro i grandi fantasmi del passato.

A proposito di fantasmi ci sarebbe piaciuto saltare dall’Aquitania nella casa della FIBA per vedere le facce di quelli che nella gara con l’ULEB, la NBA europea a tutti gli effetti, sul chi piscia più lontano hanno insistito per queste finestre da dedicare alle squadre Nazionali, finestrine per squadrette incomplete, finestroni per far cadere qualcuno che adesso dovrà spiegarci perché la Slovenia campione d’ Europa non sarà l’anno prossimo al Mondiale in Cina dove pure andranno 32 squadre. Fuori dai giochi anche se dovesse fare miracoli nelle ultime due sessioni, quelle di fine ottobre e del febbraio 2019. Doloroso, ma se i tuoi migliori vanno a giocare fuori, magari nella NBA dove della nazionale se ne fottono, o in eurolega, dove hanno chiuso le porte da tempo, eccoci alla Slovenia con 2 vittorie in 8 partite lontana da Ucraina e Montenegro. Sloveni a casa, ma anche Serbia e Russia non sono proprio sicure perché ad ottobre e a febbraio saranno ancora più deboli di quello che ci hanno fatto vedere adesso. Chiedere anche agl spagnoli se sono contenti.

Così come molto più debole sarà l’Italia delle finestre aperte a Brescia, per ospitare i lituani e a Livorno per la rivincita con gli ungheresi fra fine ottobre e febbraio. I migliori di Bologna e Debrecen non ci saranno: eh sì, difficile che Armani rinunci a Jeff Brooks, pur avendo il dovere di sdebitarsi con chi lo ha fatto diventare italiano, stessa cosa per Della Valle boom boom al Dozza e farfalla con ali pesanti in Ungheria. Non parliamo poi di Datome e Melli, i pilastri che ci hanno permesso di passare indenni questa fase che ha stravolto del tutto il presidente Petrucci, irriconoscibile nel suo frenetico vagare, cercando conforto fra chi, al massimo, gli suggeriva passi sbagliati, nuovi allenatori, nuovi responsabili per fare i dirigenti alle giovanili. Sì, va bene, tutta roba buona per non scontentare chi vota e, purtroppo, decide le sorti di uno sport che si agita, trova nuovi amici (la Turkish Airlines ora ha sposato anche il campionato di serie A oltre all’Eurolega) ma arranca, perché si è inaridito a livello umano.

Vi abbiamo detto della grande nostalgia camminando sotto i portici bolognesi dove, magari, come diceva l’avvocato, non si perde neppure un bambino, perché appena incontravamo il “nuovo” o presunto tale ci veniva il magone. Splendidi i soccorritori federali per vecchi giornalisti, stupendi quelli della Virtus, la classe non è mai acqua, ma nella sostanza anche quelle isole sembravano invase dai cani meccanici del cerchio dorato, quelli che te la spiegano ma non ti convinceranno mai. Non vuol dire essere prevenuti, non vuol dire che non avranno successo, anche se per raggiungere la pallavolo ci vorrà molto più di un convegno, di una riunione per garantire a chi lavora oggi che il domani non sta a Milano City Life come ci fa capire l’uomo dell’osservatorio Pea fra funghi e visioni dorate, che in molti casi basterebbe dire abbiamo i palazzi peggiori e ogni anno ci dobbiamo adattare. Wi-fi mio non ti conosco. Carta stampata vade retro. Se non sei adatto al nuovo chiuditi in casa e al Bianchi chiediamo di fare una visita pastorale nelle varie tribune stampa per dirci se è dignitoso lavorare in certe condizioni, guai se ci sono le TV, loro, che hanno i monitor, in prima fila, gli altri tutti dietro cercando di intuire. Poi i giocatori si lamentano.

Aria greve. Amici fasulli che ti lasciano nell’umido sapendo del disagio di un’attesa. Hanno fatto bene i presidenti di Venezia e Milano e la signora Bragaglio nel nome della bella Brescia a riunirsi per bere e brindare perché saranno loro alla fine e spartirsi il bene del campionato che è già di Milano, come sempre da quando c’è Armani, salvo i giorni della verbena per Siena, la più bella delle città. Certo dovranno guardarsi da Avellino perché Alberani sa lavorare, e da Sassari, la società che guarda più avanti degli altri, che con Esposito ha trovato un allenatore da sbarco nella Normadia presidiata dalla ricchezza.

Tornando ad Azzurra Fremebonda diciamo che intorno a questa squadra girano molti dei personaggi trovati nei film di Reno sui Viaggiatori dal passato. Qualche Gran Cojon c’è, ed è facile da individuare. Per quello che ci può dare la squadra siamo più o meno dove sta Mancini col calcio: il materiale è quello, senza spiragli tanto che viviamo per farci incantare dai tweet e dalle cene di gruppo degli ultratrentenni che stanno nella NBA, aspettando il verdetto di Houston per Ale Gentile che almeno non corre il rischio di sfasciare bilance come il Balotelli che deve aver fatto a Mancini, suo grande estimatore, il trucco che molti giocatori del Napoli basket del professor Salerno, quando era l’ora di farsi pesare, utilizzavano chiedendo aiuto agli amici dello spogliatoio. Un piede su e uno giù. Fumo, ecco quello non manca intorno ad Azzurra dove non ci hanno colpito i principini del triplete visti a Bologna, quelli che in difesa dicono troppo spesso pensaci tu al compagno che, non conoscendoli, come Brooks, poi è costretto a mandarli al diavolo. Siamo contenti invece che nel poco spazio avuto, troppo poco di certo, siano venute fuori le vere qualità di Filloy, avercene, e, soprattutto, del Biligha che avrebbe soltanto bisogno di fiducia, dove gioca oggi e nella Nazionale, così come prima ad Avellino, perché la sua energia, il suo pensiero libero ci fanno credere che sarà un eccellente giocatore ma, soprattutto, una bella persona e questo desiderio di finire l’università, gli mancano 4 esami, per poi cercare un lavoro nel Camerun delle sue origini famigliari, lo rende davvero diverso e non per il colore della pelle, ma per lo splendore della mente in un mondo di tatuati dove i ragazzini si fanno scrivere di tutto sul corpicino e poi si giustificano: se non sei tatuato non giochi. Allenatori di ogni sport diteci che non è vero.

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