Uccidi Paul Breitner, la terza via per raccontare il calcio

6 Luglio 2018 di Indiscreto

La media saggistica sul calcio è al livello di Wikipedia copiata male, con i più ambiziosi che traducono libri già pubblicati all’estero. I soliti aneddoti spesso sudamericani di quarta mano e difficili da verificare, sopportabili e forse necessari in un articolo ma che in un libro si trasformano in spazzatura per anime semplici, senza alcun rispetto per il lettore. Quanto alla narrativa, be’, per quella bisogna essere capaci e quasi nessuno lo è.

Per questo siamo convinti che il futuro della narrazione calcistica risieda in una terza via, cioè nella rielaborazione ideologizzata di fatti già noti, con elementi di fiction che colpiscano il lettore ma rimangano sempre un passo dietro la letteratura. ‘Uccidi Paul Breitner – Frammenti di un discorso sul pallone’, uscito da qualche settimana per Edizioni Alegre, si inserisce proprio in questo filone. Luca Pisapia fa svolgere l’azione lungo tre Mondiali: Argentina 1978 (punto di partenza per parlare di calcio e potere), Usa 1994 (calcio e media) e Brasile 2014 (calcio ed e economia). L’autore si gioca subito l’elemento fiction con Arcadio Lopez, misterioso personaggio a metà fra il sudamericano tormentato e il nazista (poi si scoprirà la sua vera identità) che guarda la finale Argentina-Olanda cercando di non ascoltare le urla dei desparecidos, ma nelle quasi 300 pagine non mancano altri parti della fantasia. Utili a giustificare le scorribande del giornalista del Manifesto (ex Fatto Quotidiano) nella storia calcistica per così dire reale.

Un libro onestamente ideologico, di una sinistra che una volta avremmo definito complottista (oggi invece chi è di sinistra crede ai media dei padroni, il mondo è davvero girato), con salti temporali e contenutistici davvero stimolanti anche per chi pensa di sapere già tutto: particolarmente riusciti i flash sul Liverpool di Bill Shankly, su Italo Allodi, sulla nascita del moggismo e su Breitner, personaggio che ben rappresenta lo spirito del libro. Nel mirino della banda Baader-Meinhof in quanto compagno che ha tradito in diversi modi, su tutti quello di andare a giocare, lui maoista, nel Real Madrid, Breitner viene preso come pretesto per spiegare che fra calcio e capitalismo non esiste contraddizione. Non ha insomma senso, secondo Pisapia, la critica al calcio moderno nel nome di presunti valori del passato, perché il calcio come religione o passatempo di massa nasce già capitalistico. Berlusconi e il berlusconismo, tanto per venire al punto, non lo hanno corrotto ma ne hanno soltanto sfruttato le caratteristiche più utili.

Cosa non ci è piaciuto del libro? Prima di tutto la discreta quantità di refusi (Sergio Gonella non si può scrivere ‘Patrizio Gonnella’, per citarne uno) nelle parti saggistiche, che toglie un po’ di credibilità ad un impianto che invece è valido. Poi la quantità esagerata di citazioni letterarie e cinematografiche, quasi da giornalista sportivo che vuol far capire che lui in realtà è molto di più. Insomma, in certi punti siamo in zona Buffa pur essendo apprezzabile lo spirito critico (anche parlando del Sankt Pauli, tassa obbligatoria per un libro di sinistra). Cosa ci è piaciuto? Innanzitutto la capacità di collegamento di fatti calcistici lontanissimi nel tempo, che al di là delle tesi permettono di raccontare una controstoria del calcio mondiale e italiano davverostimolante, che spinge in direzione dell’approfondimento. Un po’ lo stile Wu Ming, che non a caso cura la collana. In secondo luogo l’ideologia del libro, che non è sicuramente la nostra ma che è dichiarata ed evita il rischio del compitino asettico. Molto apprezzabile anche la fantasia, in alcuni punti pirotecnica: il parallelo Gascoigne-Sheringham con i giochi erotici (in teoria) fra Hitler ed Eva Braun può rendere l’idea. Un libro con parti già lette ma che non sa di già letto.

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