Stephen Harper e il progressismo conservatore

4 Luglio 2018 di Indiscreto

Conoscevamo Stephen Harper come ex primo ministro del Canada, per averlo più volte visto in foto ai vari G8 o G qualcosa dal 2006 al 2015, quando il suo posto è stato preso da Justin Trudeau (uno dei nemici mortali di Budrieri, come è noto) e dal suo Liberal Party, che è liberal nell’accezione ovviamente nordamericana e non in quella di Altissimo o Zanone. Non conoscevamo le sue idee fino a quando l’amico Tani, uno dei pochi uomini Alpha di Indiscreto, ci ha segnalato questo suo lungo intervento alla Stanford Graduate School of Business. Dopo averlo ascoltato ci siamo appassionati alla sua visione delle cose e abbiamo approfondito leggendo qualche articolo sull’argomento, senza esagerare perché ci sono i Mondiali.

L’aspetto centrale della politica di Harper è il contrasto in un modo non populistico della deriva ‘liberal’ e cosmopolita. La sua storia personale è abbastanza complessa, ma diventa interessante con l’ascesa al potere vero grazie a un partito conservatore fondato nel 2004, due soli anni prima di diventare primo ministro, nato dalla fusione della Canadian Alliance di cui Harper era leader e dal Progressive Conservative Party che era un partito di centro, dal punto di vista sociale e dei diritti individuali, e di destra liberista da quello economico. Per farla breve, Harper ha trovato (o dice di aver trovato) questa sintesi fra libertà individuali e protezione sociale, fra federalismo (ne parla spesso) e intervento dello stato, fra spirito di opposizione e ambizioni reali di governo. Non una sola traccia di antipolitica, di lotta alla casta, di tecnicismi spacciati per valori prepolitici: Harper teorizza, lo fa anche a Stanford davanti a un pubblico a occhio non di suoi elettori (al di là dell’essere canadesi), proprio la politica come mezzo per riportare i valori del Canada verso quelli che lui ritiene essere i ‘veri’ valori del Canada.

E questo non lo si può fare, sostiene Harper, con i proclami ma governando, e bene, il più a lungo possibile. Le coscienze, il linguaggio e le priorità cambiano nel lungo periodo, mentre le elezioni si possono vincere o perdere anche per situazioni particolari. Secondo Harper il problema non è Trudeau, fra l’altro in declino, ma il fatto che intere generazioni di canadesi si siano formate alla fine del Novecento sotto governi centristi o di sinistra. Lo scopo di un moderno partito conservatore deve quindi essere non urlare slogan o rimpiangere il passato mentre gli altri governano, ma proporre cose concrete e identitarie per governare il più a lungo possibile. In altre parole, proporre i propri valori e non una semplice reazione a errori, o presunti tali, dei governi precedenti.

In diverse analisi l’approccio di Harper è stato definito come incrementalismo: fare una serie di piccole scelte politiche al momento giusto, invece che fare una rivoluzione in quello sbagliato (magari anche consapevolmente, visti i notevoli vantaggi di chi sta all’opposizione in un paese democratico). Ma venendo al nostro orticello, perché abbiamo scritto tutto questo? Perché in Italia un partito conservatore e popolare, lontano sia dall’estremismo sia dalla truffa dei tecnici, davvero manca. Una Democrazia Cristiana di gente onesta, senza andare troppo lontano.

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