Schillaci meglio di Vialli per sempre

2 Luglio 2018 di Stefano Olivari

Il Mondiale fa emergere come nessun altro evento la schizofrenia di media e tifosi, confondendo il valore di intere carriere con quello che si riesce a combinare in dieci giorni, magari da infortunati o con compagni non all’altezza. Così il festival del Messi perdente, dimenticando le prestazioni di Higuain, Palacio e Rizzoli nella finale di 4 anni fa, ci ha ispirato una riflessione così modesta che l’avevamo già scritta. Ma non avendo trovato il link la riproponiamo…

La riflessione è la seguente: alla vigilia del Mondiale del 1990 le pressioni su Vialli non erano molto diverse da quelle che aveva in Brasile Neymar o adesso Messi, fatte le debite proporzioni. Era un giocatore di status molto inferiore a Messi e Neymar, ma era anche l’uomo copertina di un’Italia iper-ottimista dove Baggio non era ancora pienamente esploso e dove non c’erano blocchi di questo o quel club. Eppure quel Mondiale Vialli lo fallì, nonostante un discreto inizio (fece l’assist a Schillaci contro l’Austria), con il punto di svolta psicologico del rigore sbagliato contro gli Stati Uniti e un infortunio che si trascinò per tutto quel mese, rientrando nella semifinale di Napoli. Quattro anni prima Bearzot lo aveva inserito nella spedizione in Messico senza crederci troppo, quattro anni dopo Sacchi con la complicità di un altro infortunio non lo avrebbe chiamato per USA ’94 nonostante Vialli fosse di sicuro adatto ai suoi schemi. Poi sappiamo tutti cosa ha fatto e vinto Vialli con Sampdoria, Juventus e Chelsea, inutile sguainare Wikipedia.

Quello del 1990 fu il Mondiale di Schillaci, che ne fu capocannoniere e che grazie a quei 6 gol arrivò secondo nella classifica del Pallone d’Oro di quell’anno, dietro a Matthäus. Ad alto livello però la carriera dell’attaccante palermitano si può ridurre al primo anno alla Juventus, con Zoff allenatore, seguito da due stagioni difficili, con Maifredi e Trapattoni, prima di passare all’Inter e di starci più tempo da infortunato che da sano. Infine la pensione dorata in Giappone. Stiamo parlando di un attaccante tecnicamente limitato, una volta si diceva di categoria (ma anche nelle serie minori vissute a Messina giocò bene solo un anno, quello con Zeman), che nei suoi giorni migliori era letteralmente posseduto ed aveva la grande capacità di farsi trovare in movimento da chi gli doveva passare il pallone.

Alcuni di questi giorni migliori furono al Mondiale italiano, per motivi assolutamente casuali: lo scazzo di Carnevale con Vicini, il siluramento di Mancini, la crisi di Vialli, la fiducia intermittente in Baggio, Serena visto solo come arma tattica. Tutta gente, crediamo ne sia convinto anche Schillaci, più forte di lui. Eppure fra cento anni qualcuno saprà chi è stato Schillaci, ma nessuno nemmeno sospetterà dell’esistenza di Vialli. Il Mondiale è ingiusto, ma è la differenza fra essere un’icona pop e uno semplicemente forte. Per questo leggere di crisi del modello tedesco, del modello spagnolo, argentino, eccetera, per un torneo preparato male e giocato peggio, è abbastanza ridicolo. Al punto che vi risparmiamo il ‘Di qua o di là’ fra Vialli e Schillaci.

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