Quando il Gallo canta troppo

2 Luglio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni sotto la casa milanese del fotografo che fa diventare quadri le sue galline e un principe il gallo maledetto dai vicini perché alle cinque suona l’adunata e la sveglia. Un gallo che canta troppo in tempi dove se i cani abbaiano te li bruciano. Anche nel nostro mondo sportivo di galli cantanti, gente che esagera, ce ne sono fin troppi. Andate a rileggervi la vigilia del Mondiale di calcio e poi i coccodrilli per la dipartita delle grandi, dalla Germania alla Spagna.

Certo avrà vita più lunga il gallo di Los Angeles che ha annunciato l’arrivo di LeBron James in casa Lakers, un messaggio di speranza per una grande perduta che ha eccitato persino lo Zlatan Ibrahimovic costretto a rodersi dentro dalla sua Svezia che non va male anche senza di lui: Los Angeles ha un Dio dopo un re. Modestia a parte.

La modestia che sembra mancare in questi giorni al Gallinari del basket che attraverso il suo canale privilegiato su SKY vorrebbe far passare per bugiardo e minchione il povero Sacchetti schiaffeggiato con un mazzo di tulipani al teatro di Groningen. In questa vicenda stiamo con il Meo al platino dopo la caduta dal cavallo di ferro. Ci prendono davvero in giro, i “ricchi” emigranti del nostro basket. Ditelo chiaro, della Nazionale non ve ne frega niente, fatelo sapere a Petrucci che, magari, cambia il disco dove da anni canta l’inno alla maglia azzurra, l’unica, secondo lui, che dà vera gloria. Per adesso, a questa generazione presentata incautamente come la più forte di sempre, procura soltanto migliori contratti pubblicitari. Vittorie sul campo zero, vittime allenatori che pensavano di avere dei galli da combattimento e invece hanno scoperto di avere soltanto degli orologi a cucù che ricordano l’ora del riposo, l’ora della meditazione, mai quella della battaglia.

Finisce a Groningen, Olanda settentrionale, terra di mucche frisone, città universitaria, la grande illusione per Azzurra che ora è diventata tenera anche per i giornaloni, per quelli che accusano Petrucci di aver messo due galli, ancora, in un pollaio quando ha scelto Tanjevic per tentare l’ultima rivoluzione. Questo è il paese dei bagordi e dei balocchi. Uno ha una vita dedicata allo sport che ama, ha tanti passaporti e vittorie, una sola fede, tanti amici, poche comari squittenti che lo tormentano. Ha una grande storia. Si è dedicato di nuovo all’Italia dello sport malata dentro, ce lo dicono al calcio, lo sappiamo guardando l’atletica di oggi e anche quelli che sembrano star bene sono soltanto in attesa del virus. Sarà per questo che la pallavolo ha richiamato Julio Velasco, certo a Modena cominciò tutto, la pallanuoto ha rivoluto il Rudic, allontanato dalle stesse invidie che fecero decidere al grande argentino ai cambiare aria.

Il basket, che stava peggio, ci ha pensato prima a richiamare un grandissimo, ma la gente con mente e memoria corta ha mandato i suoi messaggeri a casa Sacchetti per avvisarlo che la mossa del presidente era un gambetto da scacco matto. Nelle carestie si arricchiscono gli speculatori. Facile trovare un Meo alla ricerca della corazza per non sentire lo sguardo magnetico del Boscia. Miserie, invidie, quando servirebbero alleanze, unioni per fare davvero la forza. Siamo nei guai, sbalorditi dalla facilità con cui si distrugge questo circolo di sognatori ai quali, comunque, continueremo a brindare. Sì, è vero, Tanjevic non era sul charter Italia per Groningen, dove hanno trovato posto persino i giornalisti, ma spiegare la cosa come un atto d’imperio del presidente che aveva trovato inopportuna la schermaglia, via stampa, fra Meo e Boscia, è davvero comico. Siamo alla ricerca degli innominati, una storiaccia manzoniana: cedi lo passo, no cedi lo passo tu. Se non abbiamo capito che chiedere agli azzurrabili panchinati di cercarsi posti dove potranno giocare non è interferenza, ma un consiglio che dovrebbe essere ascoltato, alcuni lo stanno facendo, allora perché stupirsi della figuraccia a Groningen?

La settimana di Azzurra dopo aver chiuso bene le finestre invernali ci ha visto cadere dal balcone mentre aspettavamo il sole per dominare la scena nel girone dove la Croazia ha rimediato adesso alle assenze nei giorni del freddo. Lo ha fatto come usa da quelle parti. Tutti insieme, appassionatamente, e il presidente Vrankovic ha voluto due maestri al fianco del gruppo dove rientravano anche quelli della NBA. Non uno squadrone, abbastanza per mandarci sotto di 17, anche se poi alla fine siamo riusciti a fingere di essere combattenti con orgoglio, senza talento, ma con orgoglio. Come ha scritto il Cappellari c’è da pensare se Tony Kukoc, reduce da un’operazione di 7 ore a cuore aperto, e Dino Radja, erano al fianco della squadra in difficoltà mentre da noi le vecchie glorie stavano altrove. Alcuni, come i maturi, sulla terrazza di Alceo a Pesaro dove oltre al vescovo erano arrivati anche l’ex rettore dell’università di Bologna Dionigi e l’ex sindaco di Venezia, il filosofo Cacciari. Una bella festa organizzata da Bertini per la classe 1938, ma era dopo la partita di Trieste. Molti avrebbero potuto fare come Lorenzo Sani che ha vissuto il frastuono del Pala Rubini, sconsacrato dalla musica demenziale, dagli urli di un presentatore di cui non si capiva una parola in quell’impianto che i nuovi padroni, per fortuna anche della serie A piaciona, cambieranno per il nuovo campionato. Vero che c’erano i presidenti delle società che hanno dato giocatori a Sacchetti, vero che c’era il Bianchi presidente di una Lega che si vanta per progressi fisiologici sull’afflusso del pubblico, chiaro che se va in finale Milano aumenta tutto, ma è anche vero che non c’era nessuno degli azzurri di un tempo, neppure i triestini e sono tanti.

Era cominciato bene il pellegrinaggio degli sciatici vaganti partendo dalla Hauslix di Boris Ti. sulla collina. Mare nostro davanti ai ristoratori poeti nella cala prima di Sistiana dove Matteo Martinoli lasciava al fratello il compito di cercare cosa offriva quell’acqua incantata mentre lui continuava a scolpire il legno, resti della marina, radici spiaggiate, assecondando la natura come diceva usando da maestro il suo scalpello per opere che vanno nel mondo.

Sembrava di stare bene anche intorno a quell’azzurro stinto, anche se andando ad Opicina, nel bar da gambero rosso del Vitez che è stato bon zogador anche per Boscia, abbiamo incontrato, prima della sua Sconvenscion, il Tavcar che sognava di essere allenatore ed è diventato un grande telecronista. Lui ha brindato ai nostri sogni, ma poi ha voluto portarci, insieme ad Andrej Kremec, manager che conosce i due mondi, nel santuario della minoranza slovena di Opicina, il circolo culturale Jadran. Le vecchie righe sul campo rugoso, fra retine strappate. Mentre noi pensavamo ai nostri galli loro ci hanno raccontato come un paese con 2 milioni di abitanti, partendo davvero dalle elementari, ha creato capolavori dello sport, dal basket allo sci, all’atletica, alla pallamano, persino nell’hockey. È stato quello il momento in cui ci siamo sentiti peggio e non soltanto perché avevamo bevuto e mangiato troppo. Puoi credere di trovare gente disposta al rinnovamento se viene messo in discussione il ruolo di un Boscia Tanjevic soltanto perché si ha paura che vada a prendere il cuscino e l’asciugamano del Meo? Proprio vero che l’ignoranza fa provincia. Ci sono storie sportive che dicono tutto, non basta.

Si cercano sempre nuove prove ed eccoci ai fantasmini di Groningen dove un ragazzino diciassettenne dai capelli quasi arancioni, il figlio del Pace Mannion, cacciatore emerito ai tempi della vera Cantù, che si era irritato per l’esclusione del figlio nella partita di Trieste, ha cercato di salvare la faccia a chi non sapeva più dove nasconderla. Mancanza di energia, eh sì, siamo a luglio, voglia di mare, di bibite fresche sulla spiaggia. La Nazionale, be’ c’era un tesoretto già in cassaforte perché nella carestia di nazioni che non avevano avuto a disposizione i campioni costruiti a casa noi ci siamo trovati leggermente meglio, anche grazie alla magata presidenziale prima del flop messiniano, con l’italianizzazione dei giocatori tipo Burns.

A proposito, a Milano se la rideranno di gusto: vero che stanno pensando ad una Eurolega meno umiliante delle ultime due, col Pianigiani che ultimamente si è anche attribuito una coppa di Turchia vinta dal suo vice Dalmonte perché lui era in malattia da pronta fuga, ma è strano che a rinforzarsi ci pensino soltanto i campioni. Ogni giorno un acquisto e, non è certo un caso, i passaportati a servizio se li è presi tutti la casa di Giò, Burns oltre a Brooks che aspetta e spera, sapendo di poterlo fare, da italiano prossimo venuto. Doppioni? Un vizio della casa, diranno Kuzminskas e il povero Kalnietis liquidato ancora prima che si riducessero le rotazioni.

In Olanda abbiamo visto nascere quello che almeno in Europa sarà sicuramente una stella, anche se le grandi università già gli offrono la borsa di studio convinte che sarà un super anche dove i milioni si danno come le noccioline, direbbero a casa Belinelli dopo il ritorno nel corral del ragazzo d’oro di Sangio a San Antonio da santo Greg e da Messina rimasto fra gli assistenti dopo audizioni per dirigere in proprio altrove. Dura vita e il professionismo USA assomiglia tanto a quello europeo per il calcio. Pregiudizi su chi viene da fuori. Chiedete ad Herrera.

Ci siamo rimasti male a Groningen vedendo il De Jong da 0 punti a Treviso beffare i nostri lunghi poco lunghi, scoprendo che il Kloof da 0 su 4 da 3 al Palaverde ne ha messi 21 e l’Hammink da 0 scarabocchio trevigiano segnarne 16 nella vasca dei pesciolini azzurri. Tutti al mare, figli della lupa di casa Sacchetti e troverete anche chi vi dirà che contro la Croazia a Trieste gli arbitri erano stati carogna, 39 tiri liberi contro 12, senza però saper spiegare i 36 liberi concessi all’Olanda, sempre da arbitrucoli, ma siamo nella media delle difese dove i piedi non si muovono e le mani si agitano a caso.

Andiamo messi benino alla seconda fase, 3 posti per 6 avventori del bar FIBA che darà lo stuzzichino del Mondiale dove, in queste condizioni, sarebbe meglio non esserci. Quattro punti dietro la Lituania, fuori corsa, che incontreremo a novembre sul campo di Livorno, ma due davanti alle altre. Speriamo che basti e che non sia necessario mettersi in ginocchio per avere i nostri esiliati di successo, sapendo che siamo una squadra bassa e non soltanto di statura. Le pagelle alla casa dell’oro di Groningen dove un tempo si pagavano le tasse, pesanti come quelle che ha versato Azzurra chiudendo male fase uno della qualificazione mondiale.

10 A Nico MANNION diventato azzurro mentre i suoi compagni di squadra diventavano rossi. Sono i giorni dei talenti di nuova generazione: non sarà meraviglioso come Mbappé re di Francia, ma ci ha fatto vedere che ha dentro tutto quello che serve per diventare un capo giocatore, anche se non ci piace come tira.

9 Alla TRIESTE del basket che ci ha accolto con amore fraterno, alle storie infinite dello Jadran e della Slovenia, ai sognatori che hanno brindato con noi a patto che facciano una dimostrazione contro l’acustica e la musica del pala Rubini.

8 Ai MATURI BASKETTARI che si sono trovati da Alceo a Pesaro omaggiando la casa d’arte di Franco Bertini. Un altro mondo, un altro basket e ci è dispiaciuto aver esaurito le medicine, per salvarci a Trieste, rinunciando all’abbraccio con il ferro del’38 . Purtroppo.

7 Ad Awudu ABASS, che forse lascerà l’Italia e se va davvero in Germania potrebbe rinunciare pure lui alla Nazionale, perché non era facile reagire dopo la stagione da “umiliato” in panca Armani. Due partite con inizi tremebondi, ma finali da giocatore quasi vero.

6 A BURNS e per quel poco che ha potuto giocare anche a TESSITORI perché avevano lo spirito di chi non va in campo pensando che in vacanza si sta molto meglio.

5 A FIP, LEGA, FIBA, ULEB che insistono nel voler fare di una partita lo spettacolino della sagra. Rumore, rumore, boiate. Continuano a non capire la mistica del mistero sportivo dove lo spettacolo è la partita. Sempre.

4 A DONCIC se non dimostrerà ai saccentoni di casa NBA, che hanno figli illegittimi anche da noi, che un MVP di eurolega e dell’Europeo saprà far bene anche dove il basket si è ridotto a partite di uno contro uno o al massimo due contro due.

3 A LIVORNO dove il 29 novembre l’ITALIA affronterà la Lituania se non ripartiranno da questo evento per dare di nuovo una spinta ad una delle scuole più belle del nostro basket. Serve l’impegno di tutti, cominciando da chi ha i mezzi.

2 Ad ARADORI per lo 0 di Groningen e DELLA VALLE per lo 0 di Trieste perché giornate storte possono capitare a tutti, ma ci sono altre cose che in campo si possono fare. Ci hanno deluso in questo.

1 A PETRUCCI se davvero ha giustificato l’assenza di Tanjevic nella trasferta olandese per i discorsi sulla malattia generale del basket italiano che non si risolleverà mai se non ci sarà la sollevazione di chi crede che tutto deve ripartire dal reclutamento e da regole, magari dolorose, che aprano spazi dove non ce ne sono.

0 A GALLINARI per aver fatto passare brutte giornate mentre Romeo SACCHETTI cercava di spiegare come stanno davvero le cose con questi ricconi che giocano altrove e si lamentano persino se dopo una loro manata letale, con frattura e rinuncia all’Europeo, non vengono confortati dalle telefonate di chi era stato danneggiato. Come diceva il bue all’asino?

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