Il tifo di Marchionne (più Fassone, Gattuso, Parma, nuove entrate e Richarlison)

23 Luglio 2018 di Stefano Olivari

In queste ultime ore un po’ tutti si stanno esibendo sul conto di Sergio Marchionne, con toni che vanno dall’agiografia da real casa fino agli auguri di veloce morte. Non essendo genii maledetti diciamo anche noi la nostra, rimanendo nell’orticello calcistico. Di cui Marchionne si è occupato soprattutto all’inizio della sua avventura in FIAT poi FCA, quando da uomo di finanza (e non certo di industria) si preoccupava di vendere bene gli asset ritenuti non strategici del gruppo. All’epoca la Juventus e altre aziende erano sotto l’ombrello IFIL, ma la sostanza è che Marchionne non riteneva la Juventus strategica per gli intreressi FIAT, pur riconoscendone il valore. Un’idea che tentò di tradurre in pratica nel post Calciopoli, consigliando a John Elkann di liberarsene e facendo valutare la situazione ad alcuni advisor. Nella testa di Marchionne, con la FIAT lontana dall’Italia amministrativamente e come produzione, un’idea sensata. In quella degli Agnelli un po’ meno: il club si stava un po’ trascinando, ma era pur sempre un biglietto da visita politico e soprattutto un premio di consolazione per chi, come Andrea Agnelli, era (ed è) tenuto lontano dalle leve del potere vero del gruppo oltre che dal vero gioiello di famiglia, la Ferrari. L’alta società torinese, che Indiscreto frequenta da sempre, ci dice però che nonostante le apparenze, il suo scarso interesse per il calcio e il suo tiepido tifo juventino (Voleva far sponsorizzare l’Inter dall’Alfa Romeo…), Marchionne abbia una certa simpatia per Andrea, figlio dell’Umberto Agnelli che lo scelse quasi in punto di morte. Dire che Marchionne abbia favorito l’operazione CR7 è strampalato, visto come ha passato l’ultimo mese, ma certo con il tempo si è reso conto dell’utilità dell’avere una squadra di calcio in Italia. Appena pochi, anzi pochissimi, operai di Melfi hanno protestato per le cifre di Cristiano Ronaldo, l’editorialista collettivo si è scatenato. Contro, avete indovinato, gli operai di Melfi.

2. L’organigramma societario del Milan di Elliott si sta completando: dal sicuro Leonardo al probabile Gazidis al possibile Gandini, tutto è già stato scritto e non ha molto senso che ci mettiamo a copiarlo. Merita però qualche parola il modo in cui si sono conclusi i rapporti con Fassone e Mirabelli: l’ex amministratore delegato fino a poche settimane fa non era nel mirino degli americani, anzi avrebbe fatto parte della transizione (non certo del futuro, in ogni caso), ma si è suicidato con una serie di mosse da fine impero: promozione in extremis di fedelissimi, auto-prolungamento e adeguamento del proprio ingaggio, smarcamento da Mirabelli, segnali mandati a terzi perché aiutassero a prolungare l’era cinese (tarocca per definizione). Da commedia all’italiana, degna dell’immenso Carlo Vanzina, la modalità di notifica del licenziamento per giusta causa: Fassone non si è reso reperibile (un po’ come noi quando non ritiriamo le notifiche delle raccomandate pensando che siano multe), ma la lettera gli è stata mandata tramite PEC. In estrema sintesi: il Milan società ha adesso buone prospettive di medio periodo e i tempi supplementari giudiziari riguarderanno, eventualmente, Yonghong Li o chi per lui.

3. Parlando di calcio, le campane a morto stanno suonando per Mirabelli e, cosa più interessante, per Rino Gattuso. L’ormai ex direttore sportivo paga fondamentalmente l’identificazione con una stagione che i tifosi milanisti vogliono dimenticare e, dal punto di vista di Elliott, il phisique du rôle non proprio da dirigente internazionale. L’inesperienza ha portato ai quasi 40 milioni spesi per Andre Silva, con la modesta giustificazione di far entrare il Milan nel giro di Jorge Mendes, ai 18 per Musacchio e ai 15 per Rodriguez, mentre sul mercato italiano si è mosso decisamente meglio fra Conti, Kessie, Biglia e Kalinic (con il senno di adesso al croato fortemente voluto da Montella si tirano le pietre, ma un anno fa lo avrebbero preso in tanti). Insomma, senza infamia e senza lode. Il legame con Gattuso è stato produttivo per almeno due mesi, poi anche il campione del mondo 2006 è entrato in modalità transizione chiudendo in tono minore ma con in mano un incredibile prolungamento fino al 2021 che al momento è il suo principale scudo. Poi si esalta o si critica a seconda della simpatia, ma in questo caso la situazione è neutra: Gattuso ha la stessa media punti di Montella e Mihajlovic, e tutti e tre sono al Milan stati meglio dell’adesso risorto Pippo Inzaghi. È arrivato finalmente il momento di Antonio Conte, già per un paio di volte in canna ai tempi di Galliani: non c’è alcuna fretta, visto che la UEFA impedirà in ogni caso un mercato scintillante, l’idea è quella di chiudere con Gattuso con le buone e una delle missioni di Leonardo, per dimostrare di non essere buono soltanto a portare la giacca, sarà proprio questa.

4. La sentenza del tribunale federale, 5 punti di squalifica da scontare nella stagione che sta per iniziare, rende il Parma la più autorevole candidata alla retrocessione in serie B e chiude di fatto la carriera di Calaiò per un messaggio WhatsApp chiarissimo nella sua ambiguità, ma non peggiore di tanti altri venuti fuori negli anni da indagini, ovviamente della giustizia ordinaria, che hanno sfiorato altri tesserati. Insomma, un metro clamorosamente diverso rispetto al recente passato, da tenere bene a mente quando saranno coinvolte in situazioni analoghe città che per vari motivi riescono a scatenare dementi rovescia-cassonetti oppure poteri davvero forti.

5. Ci dicono che un altro club di A, uno di quelli che rendono il campionato credibile come il wrestling, stia per finire in mani straniere. Fra l’altro buonissime mani, non prestanomi o finanziarie. In esclusiva per Indiscreto, visto che questo sito ci strapaga, stiamo indagando.

6. Invidiamo chi ha un parere su tutti i calciatori del mondo, sono i miracoli del web. Nella nostra miseria morale e materiale seguiamo soltanto tutto il possibile di Serie A, Premier League, Liga, Champions ed Europa League: una media di due partite al giorno viste religiosamente, senza contare quelle tenute in sottofondo. Più di così è umanamente impossibile, ma ad essere onesti nemmeno avendo il tempo ci metteremmo a guardare Serie B o Eredivisie (però abbiamo visto molte partite del Nizza, solo per Balotelli). E solo leggendo i tabellini abbiamo una minima idea del modulo del Werder Brema o del Belenenses. Tutto questo preambolo per dire che sappiamo bene chi sia Richarlison, appena passato dal Watford all’Everton per l’equivalente di 56 milioni di euro: cifra dopata dal fatto che sia un giocatore di Marco Silva, dai prezzi medi della Premier League e dal fatto che non esista un prezzo ‘giusto’ come viene fatto credere al popolo, che si indigna sempre tranne quando la squadra acquirente è la sua. Detto questo, il brasiliano è uno dei pochi giocatori sul mercato internazionale ad avere una qualche vaga idea di cosa sia il dribbling (“Creare la superiorità numerica”, in skyese) e pur segnando pochi gol, 5 nell’ultimo campionato, è quasi sempre pericolosissimo con azioni create anche dal nulla. Siccome ha solo 21 anni, è quasi sicuro che lo vedremo nel Brasile bonito a cui speriamo Tite non rinunci. L’ironia mediatica su uno dei miglior giovani della Premier League andrebbe anche bene, se poi non si prendessero sul serio i 50 milioni per Rugani. Che potrebbero essere veri, ma non seri.

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