Addio Campione d’Italia, addio casinò

28 Luglio 2018 di Stefano Olivari

Il casinò di Campione d’Italia, uno dei quattro legalmente presenti sul territorio nazionale insieme a quelli di Venezia, Saint Vincent e Sanremo, sta per chiudere definitivamente, schiacciato da 130 milioni di debiti e dal fallimento dichiarato dal Tribunale di Como. Una tragedia, per questa enclave italiana in territorio svizzero che vive di fatto del solo casinò e del suo indotto (oltre che di finti residenti, una volta per questo finì nei guai anche Fabio Capello), ma una tragedia ampiamente prevista da chi come noi ha nel corso degli anni abbandonato il gioco fisico per quello online o semplicemente per altri giochi.

Non è che il gioco fisico sia scomparso, visto che ancora nel 2017 nella sola Campione ci sono stati 672.000 ingressi, ma il classico gruppo di amici che prendeva l’auto e si faceva due ore e mezzo (fra andata e ritorno, quando andava bene) per andare a Campione o tre ore per Saint Vincent, è sempre più un ricordo del passato. Per motivi di vicinanza era il nostro casinò preferito, ma l’abbiamo sempre trovato un po’ tristarello (l’edificio poi terribile) al pari di Sanremo e Venezia (che però ha una migliore posizione) e meno dell’americaneggiante Saint Vincent. Quando si è in crisi di astinenza è però meglio, parlando del presente, andare a Lugano (buonissimo ambiente) o a Mendrisio (un po’ meno).

Ha ancora senso il casinò? Secondo noi sì, soprattutto in contesti di vacanza e comunque informali: quando si dà meno valore al denaro e cade qualche freno inibitorio. In questo senso Campione era il messo peggio dei quattro italiani, visto che nessuno (di sicuro nessun italiano) può pensare di andare in vacanza lì vicino ed in sostanza tutto (compresi certi night della zona, magnificamente fuori moda, che sono arrivati fino ai giorni nostri) pur essendo in mezzo al Canton Ticino si riduceva alla filosofia portante della Liguria: sfiliamo soldi ai milanesi. Ma adesso i milanesi, fra il 5G e il wi-fi, i loro soldi li possono buttare via con più comodità.

Di sicuro nessun computer può rendere l’atmosfera peccaminosa che si respira nei casinò: nessuno ormai si scandalizza se vai in un club di scambisti, ma se giochi d’azzardo vieni subito battezzato come una brutta persona, uno che non capisce la bellezza delle serate a guardare Speciale Europa League o a pagare una birra 10 euro in un pub finto-irlandese. Per questo seduti al tavolo da gioco fisico si entra in una sorta di comunione silenziosa con altra gente asociale, che sfida la sorte, disprezza la realtà e in definitiva se ne frega. Una specie di maledettismo piccolo borghese, senza creatività né ideali, che trova alimento nel disprezzo di chi non capisce.

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