Perché Di Bartolomei si sparò

29 Giugno 2018 di Stefano Olivari

Il fatto che 4 italiani su 10 si sentirebbero più sicuri  con un’arma in casa fa davvero paura, visto che depressi, superficiali, impulsivi e idioti sono, messi insieme, molto più numerosi dei criminali e quindi statisticamente più pericolosi. Nel dibattito sulla legittima difesa, con Salvini come al solito a dare le carte, è intervenuto Luca Di Bartolomei, con un tweet davvero da brividi: “Questa è una Smith & Wesson 38 Special uguale a quella che aveva Agostino. Quando la comprò negli anni 70 credeva che così avrebbe reso più al sicuro la sua famiglia”.

La pistola è quella con cui Agostino Di Bartolomei si sparò nel petto il 30 maggio 1994, esattamente dieci anni dopo la finale di Coppa Campioni all’Olimpico persa dalla sua Roma contro il Liverpool ai rigori (Di Bartolomei il suo lo segnò), e Luca è uno dei due figli dell’ex capitano giallorosso. La risposta di Salvini (“Se uno vuole suicidarsi trova il modo di farlo”) ha una sua logica, ma la controrisposta di Luca Di Bartolomei (“Le armi danno una sensazione di sicurezza che è falsa”) ci sembra più centrata. Al di là di questo, perché un uomo di 39 anni con alle spalle una vita piena di successi decise di farla finita? Pietosamente si tende a parlare di depressione o di misteri insondabili, ma in questo caso fu lo stesso Di Bartolomei a spiegare la situazione in una drammatica lettera strappata ma poi rimessa insieme dai Carabinieri che l’avevano trovata nella sua giacca.

Di Bartolomei esprimeva tutto il suo sconforto per la piega che aveva preso la sua attività a San Marco di Castellabate, il paese nel salernitano dove si era trasferito con la compagna Marisa (che è di quelle parti) e i figli dopo la fine della carriera da calciatore. In pratica un centro sportivo, in cui aveva investito buona parte del suo patrimonio, che per decollare avrebbe avuto bisogno di un prestito bancario che non arrivava e dell’interesse della politica locale che non c’era. Impossibile che uno con la sua carriera avesse speso tutto per qualche campo da calcio e una palestra, di certo non andavano bene né la sua agenzia di assicurazione (un classico degli ex calciatori di una volta) né altri affari in cui si era infilato senza troppa convinzione.

Si sentiva intrappolato in una vita non sua, Di Bartolomei, chi lo conosceva ha detto che si aspettava una chiamata della Roma di Sensi e che di sicuro non si era adattato alla vita da ex. Tutto questo in mezzo a grossi problemi finanziari e alla nostalgia per la sua città, che anche da calciatore nel pieno dell’attività aveva dovuto abbandonare controvoglia due volte: la prima per un prestito al Vicenza, la seconda per raggiungere Liedholm al Milan dopo che Eriksson aveva detto a Viola che non faceva parte dei suoi piani. C’è chi resiste a tragedie più grandi e chi si uccide anche per molto meno, impossibile giudicare. Di sicuro in un momento di difficoltà avere una pistola nel cassetto può significare la fine.

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