Bugiardi a rapporto da Missoni

25 Giugno 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni al guinzaglio del badante per andare verso Azzurra sul mare di Trieste. In mano l’enciclopedia di Furio Colombo contro le falsità, cercando di sfatare gli stereotipi. Nello sport troverebbe materiale per farne dieci, di enciclopedie. Dal pallone pallonaro, adesso che a Milano vogliono gli americani e non più i cinesi, al volley che ne prende da tutti, ma è fiducioso per un Mondiale dove la VAR diventerà più amica che a Modena. Persino l’atletica, adesso che Filippo Tortu ha spalancato una finestra correndo i 100 metri in meno di 10”, è andata in confusione pur essendo sport dove raccontarsi bugie è facilmente smentito dalla pista e dalla storia. Ora il ragazzo che più somiglia a Berruti e meno a Mennea sarà circondato dagli smaniosi che temevano di dover servire e scrivere di un atletica da zero tituli. Attenzione. Dire che alla sua età Bolt andava meno forte può diventare un boomerang se poi in America c’è un coetaneo che gli darebbe un metro. Ci fidiamo di suo padre Salvino, a patto che la squadra di supporto non si allarghi troppo. Diamogli tempo, loro puntano ai Giochi di Parigi 2024, ne hanno il diritto. Prima nessuna pressione e stritolamento, ma chi si fida in questo mondo sportivo dove se hai il potere è peggio che nelle dittature.

Con questo umor nero abbiamo iniziato il viaggio, ma al casello eravamo già più felici perché in borsa ci eravamo portati anche il dono prezioso del comandante Loriga, uno dei tanti capolavori che ci ha lasciato Ottavio Missoni, famoso nel mondo come maestro del filo, artista sublime nella moda, ma, per noi fissati, anche superbo campione di atletica, finalista olimpico a Londra, nel 1948, sesto nei 400 ostacoli, primo nella battaglia della vita difesa nel campo di concentramento e ritrovata su quella pista, lui che nato nel 1921 pensava ancora di poter scalare il mondo anche dopo aver fatto la fame. Il tesoretto che ci ha mandato super Vanni è uno scritto missoniano sull’origine e la storia delle nuove cattedre ambulanti delle Venezie, con storie climatiche. Racconto ambientato a Trieste, di lunghe ore in osteria “luogo che di volta in volta si fa bottega, scuola, incrocio e foro”. Qui vino e parola ti fanno trama ed ordito, intrecciando una tela che avvolge in un tepore di amicizia e gratitudine…. Era un giorno di festa. Il giorno dei morti. Ci viene in mente che questo era il divertimento fra Tai e il Principe prima di scontrarsi sul campo da tennis a Sumirago. Missoni lo ricordava sempre, prima del sorteggio del campo, al Rubini che si faceva due risate perché davvero il suo compleanno era il 2 novembre e spesso, alzando i calici per quel gigante Indimenticabile, si citava proprio la frase usata da Missoni per la sua via meravigliosa attraverso Traminer, dondoli e Teran, la processione da mezzogiorno ai dodici boti di mezzanotte.

Ci serviva questa allegria per andare a vedere la nazionale di basket adesso che il cielo non è davvero tanto azzurro. Sembra di essere nell’incubo del dottor House. Imbroglioni a pagamento, bugiardi veri si rincorrono con scuse banali. Il solito gioco del vincitori tracotanti e dei vinti tremebondi. Tornano fuori i lustratori di scarpe, quelli che non sanno cosa chiedere, mai. Ingoiano tutto e allora viene fuori che se vinci in Italia avendo un budget cinque volte superiore alla seconda classificata sei un genio, un nato per vincere sempre, uno che la sa più lunga della storia dove si è voluto infilare. Brava gente. Viva il parroco e i suoi chierichetti da fienile. In Europa? No, Chi vince, sempre gli stessi, che barba, be’, Kaunas è un caso a parte, hanno in bilancio cifre che qui da noi, poareti, non possiamo permetterci disse la volpe rinunciando all’uva. Balle. Se 25 milioni di euro non bastano per stare fra le prime otto ci sarà stato qualche altro impedimento. Ah sì, di sicuro. Ma poi tutto è stato corretto, come se gli acquisti li avesse fatti qualcun altro. Certo avere la possibilità di sbagliare è un lusso che si concede ai più bravi, ma anche soltanto ai Bravi. Per Milano pesi e misure diverse fino ad arrivare ai 16 giocatori della rosa nell’Emporio, poveri ragazzi da 500 mila di media a cranio, senza contare Kaukenas, la rata Gentile per Bologna, lo stipendio per il sabbatico di Repesa molto simile al sabbatico per Banchi, due allenatori scudetto poi cacciati e qui il Pianigiani può toccare i ferri di rocca Salimbeni.

Ti brucia u peperone, direbbe in Mediterraneo il sergente Lo Russo e qualche altro che non vede l’ora di trovare pulci che lo abitano da sempre, questo 28° scudetto di Milano. Non brucia niente cara gente, ma far passare per impresa la riduzione delle rotazione, lo scudetto al nanosecondo, un po’ come quello trovato da Banchi a Siena via Jerrells, considerare dello stesso peso le due finaliste sul ring è davvero ingordigia, voler far passare gli altri per minchioni. Milano ha vinto perché era la più forte all’inizio e lo è stata anche alla fine e non parlateci di infortuni perché in tribuna aveva gente che poteva stare in quintetto con Cantù, con Brescia, con Trento. Vero che era una squadra tutta nuova, ordini del medico cambiare sempre e, infatti, adesso, quali sono i cori della servitù a servizio: squadra che vince non si cambia. Be’, non proprio, arriveranno almeno 6 giocatori nuovi. Giusto. L’Europa vera chiama. Quello è l’unico terreno di competizione, qui l’Emporio è un po’ il Benetton rugby o le Zebre, fuori categoria, fuori dal campionato, in battaglia soltanto oltre confine. Comunque sia chiederemo a Furio Colombo anche un capitolo sulle bugie che hanno gambe corte e vedrete che troverà gli spunti.

Magari se venisse in osteria a Trieste prima di Italia-Croazia, nella cattedra ambulante che abbiamo frequentato in tempi passati. Il tempio era quello di Stelio Cigui, maestro vinaio, re delle invenzioni culinarie che adesso guarda la città dalla collina di Muggia. Nel suo tempio, dopo una partita della Nazionale, imperante Rubini, ci portò un taxista che, scendendo dall’auto, disse di volerci accompagnare sulla porta per bere un goccio. Uscimmo insieme alle 7 del mattino: lui sorreggendo noi, chi scrive, il caro e mai dimenticato Gianni Menichelli, non certo Grigoletti, perché sul tavolo per dieci commensali c’erano 22 bottiglie vuote. Come si poteva resistere se nella stessa osteria c’erano loro, i grandi triestini: Rubini, De Gobbis, Fabiani con mogli e sorelle, quella di Cesare straordinaria a ballare sul tavolo applaudita da Stelio e della nonna con il suo amante bambino. Come rinunciare ad un brindisi se in quella notte magica Nestore Crespi, forse non il manager più vincente, come si dice adesso quando metti insieme pizza e fichi, ma certo il più divertente, ti porta nel mondo della fantasia con un cabaret concluso facendo una lavata di testa con il frizzante al commissario di polizia chiamato dai vicini per calmare gli animi, un poliziotto “buono” che prima di far chiudere da “cattivo” ha voluto provare, pure lui, tutto quello che la casa aveva servito. Mona, soltanto per capire se c’era stata sofisticazione.

Magari trovassimo l’osteria giusta per toglierci dalla testa questa idea che non c’è pace fra gli ulivi tecnici di mastro Petrucci. Lo abbiamo capito da certe risposte di Sacchetti Romeo, ah perché fai così Romeo, che urla al mondo di voler fare di testa sua. Ce lo dica chiaro e forte se conosce qualche cittì azzurro che ha fatto la Nazionale con la testa di altri e non tiri fuori la bocciatura Bariviera per Mosca. Strana anche la risposta al pensiero del Boscia Tanjevic che la sua corte sta facendo diventare incubo. Naturalmente era una domanda più delicata di quella che avrebbero fatto tutti, cioè perché è fuori squadra il Cinciarini migliore dell’anno e di sempre e a cui dovrebbe anche un po’ di gratitudine per quella finale contro Reggio Emila dove il capitano di Milano perse il regno per un cavillo di gioco scelto male proprio dall’uomo che ha portato pace nell’inferno di Assago. Lui potrebbe dire che ci sarà in futuro, che la pensa così. Non gli è stato chiesto, ma come nei verbali ha risposto alla domanda sul pensiero del grande Boscia che consiglia agli azzurrabili che passano troppo tempo in panchina di cercarsi squadre dove avranno spazio. Suggerimento logico, un desiderio che dovrebbe avere anche un commissario tecnico, ma no, per Romeo, ah perché Romeo, è sbagliato invadere le case altrui, le società, è sbagliato. Non sono invasioni, ma pensieri. Tanto è vero che Milano sta cercando dove piazzare chi non vuole più essere in scena soltanto per dire il pranzo è servito, chi dovrebbe avere il sacro desiderio di entrare nella categoria dei giocatori come la concepisce Arrigo Sacchi, il vero rivoluzionario nel pianeta dei bugiardi che guadagnano con il pallone. Arrigo da Fusignano diceva ai suoi, come ci ricorda Albertini: esistono i calciatori e i giocatori di calcio. Noi cestomani diremmo esistono i cestisti ed i giocatori di basket. La prima specie tira molte volte, in porta e a canestro, l’altra gioca per e con la squadra.

A Trieste, a Trieste accidenti seguiti da questa nuvola, amareggiati soltanto dal fatto che due uomini che ci sono davvero simpatici come Meo e Boscia siano tenuti distanti dai piccoli Iago, con penna e con la feluca da comandante in seconda, quando invece dovrebbero lavorare insieme, sperimentare il più possibile, smuovendo acque stagnanti anche se c’è in giro qualche merlo straniero che ci vede in grande ripresa. Speriamo sia così, auguriamoci che nessuno faccia processi sommari, come accadde con Buscaglia, perché il neo promosso Dalmasson ha perso il torneo Meneghin di Domegge contro la Turchia dopo aver battuto Olanda e Slovenia. Le cose vanno malamente, diceva l’ortolano del Padrino al giovane Vito Corleone mentre lo licenziava per dare il posto al raccomandato della mano nera. Voi che potete ancora farlo unitevi, non fate la fine dei partiti che si sono persi nelle ultime drammatiche elezioni.

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