Governo neutrale (Berardi è da Inter)

13 Maggio 2018 di Stefano Olivari

Il giorno dopo Inter-Sassuolo è una domenica come tante altre, per lo meno al Champions Pub. Uno di quei posti totalmente sconosciuti ai giornalisti del Novecento, che concepiscono l’esistenza soltanto di politici, ricchi e poverissimi: il rimanente 95% della popolazione è per loro qualcosa di informe e vago, che quando vota bene viene definito opinione pubblica matura e quando vota male diventa invece plebaglia populista, condizionabile da fake news create da hacker russi. In quel bar nessuno ha un’opinione, neppure superficiale, sui film di Cannes o rimane turbato dalla messa all’asta dell’Unità. Nessuno legge i giornali, per capire in quale modo Mattarella cercherà di cancellare il voto degli italiani imponendo uno o più burattini che i suddetti giornalisti del Novecento definiscono grand commis o, nei casi più ridicoli, servitori dello stato. Dura vita quella del giornalista nel 2018: impossibile spiegare, senza vergognarsi di se stessi, la legalità del governo neutrale amato da Mattarella, perché la Germania sia contro i dazi, perché ci si debba vergognare di essere sovranisti (cioè pretendere di eleggere chi governa il proprio paese), perché Berlusconi si sia trasformato in poche settimane da puttaniere moribondo in padre costituente.

Tutte cose che nella trumpiana periferia ovest di Milano giustamente scompaiono di fronte alla sconfitta contro la squadra di Iachini: un 1-2 che ha tolto ogni residuo senso al sabato sera e di forse anche alle vite di Budrieri, del Gianni, del Walter e del Franco, che hanno seguito la partita al loro solito secondo anello rosso, a poca distanza dalla tribuna stampa dove un Max ben oltre i confini dello stalkerismo ha giocato le sue ultime carte per conquistare il cuore della Fede. Peccato che l’inviata di Nerazzurrecontaccododici.net fosse impegnata a comunicare ai sui 3.343.668 follower su Instagram che il tempo è pazzo e non si sa mai come vestirsi: almeno metà hanno lasciato un like e circa 300.000 di quei subumani le hanno scritto che è bella dentro, prima di farsi una sega (questo è il popolo del web, che i giornalisti da photo gallery ormai considerano la vera opinione pubblica a colpi di ‘Il web insorge’ e ‘L’ironia social’) in un cesso freddo. Snobisticamente lontano dal mondo dei social network è invece Ridge Bettazzi, che dopo la qualificazione dell’Hoffenheim alla Champions stanotte ha un po’ modificato il suo ricorrente sogno: c’è sempre l’assatanato Klopp che lo sodomizza a sangue sul sedile posteriore di una Mokka X nel parcheggio di una Lidl di Gelsenkirchen, ma c’è anche Nagelsmann, con l’uniforme della SS Panzer-Division Wiking che da fuori li guarda e intanto accarezza teneramente un Tuchel vestito da autista di film porno tedesco, con camiciola a maniche corte e calzino corto bianco. Ne parlerà alla sua analista, sperando che quella brava donna non gli tiri fuori stronzate edipiche o di omosessualità repressa.

Sono le due del pomeriggio e Paolo-Wang sta preparando caffè che costano meno dei 5 euro del centro di Roma ma sempre troppo considerando che non sono caffè. Guadagna 140 euro al mese, non ha né una casa (dorme sul pavimento del Champions Pub, su un letto pieghevole fornito da Ping) né una donna, ma è turbato soprattutto dal crollo dei Bitcoin, tornato sotto quota 9.000 dollari: lui, che si è caricato di criptovaluta a 16.000 usando tutti i soldi risparmiati dalla famiglia Wang in decenni di usura, comunque crede in alcuni report confidenziali che lo danno a oltre 20.000 entro giugno. Con buona pace di quel trombone di Warren Buffett, che Paolo parlando di trading algoritmico con Budrieri ha definito ‘Lo sfigato di Omaha’, ridendo poi da solo. Certo non può aspettarsi consenso da parte di Zhou, che ieri Mary J. ha trascinato al Taste of Milano, nella zona della città che più di tutte Zhou detesta: Porta Nuova. La detesta sempre meno degli amici della personal shopper materana, a partire da un fuoricorso di Varazze che esalta i sistemi di pagamento cashless, un’ambiziosa segretaria di Gallarate molto interessata al deep learning, un ingegnere leccese che a quarant’anni ha scoperto la sua vocazione umanistica, una parrucchiera appassionata di ricette gluten free. Ha tanta rabbia dentro, Zhou: forse è davvero arrivato il momento di lasciare Milano. Non prima però di avere ammazzato almeno un uomo con gli occhiali da sole inforcati sulla testa, una donna che digita messaggi su Whatsapp mentre attraversa la strada, un bambino rachitico, un bambino obeso, chiunque vada in bici sul marciapiedi, chiunque ti voglia spiegare la fondamentale differenza fra SUV e crossover, chiunque giri per le città con SUV e crossover.

In casa Budrieri le tensioni politiche continuano a minare l’armonia di una famiglia multietnica e multiculturale, all’insaputa del capofamiglia. Sabato Di Maio e Salvini si sono trovati al Pirellone per discutere del contratto che dovrebbe in teoria portare al governo insieme Cinque Stelle e Lega. Più facile trovare l’accordo sui vari punti che sul nome del prossimo presidente del Consiglio: inevitabilmente è venuto fuori il nome di Budrieri, che ai due leader non dispiace visto che si tratta di una persona con una certa popolarità e che mai ha fatto politica. Ma perché proprio Budrieri? Di Maio lo ritiene la sintesi dell’elettorato dei Cinque Stelle, cioè uno che non sa o non vuole fare un cazzo e ambisce a prendere uno stipendietto dallo Stato per stare tutto il giorno al bar o lavorare in nero. Salvini lo ritiene invece un uomo del Nord, ma soprattutto un punto di riferimento alt-right che in Italia mancava, una figura forte che rappresenti sovranismo e suprematismo bianco. Hanno telefonato subito a Budrieri, al Champions Pub, proprio nei minuti finali di Diretta B, chiedendogli una disponibilità di massima e lui, un po’ infastidito, gli ha risposto che scioglierà le riserve soltanto dopo Lazio-Inter. Poi hanno chiamato Mattarella, che da vecchio mestierante della politica ha intuito il pericolo: un governo Budrieri significherebbe un’Italia forte e indipendente, che si farebbe rispettare dal resto d’Europa e del mondo, con un leader prestigioso e senza scheletri nell’armadio né conflitti d’interesse. Certo, per i poteri forti meglio il Berlusconi vecchio e ricattabile rimesso in pista dal tribunale di sorveglianza o qualche vecchio arnese simpatizzante del PD e sedicente ‘uomo delle istituzioni’.

Intanto la bellissima e triste Lifen, con il volto tumefatto perché i vecchi Tong hanno preso male la retrocessione del Prato (“Solo il giovane Zhang e Ausilio – hanno detto il padre o il nonno Tong, che onestamente sono indistinguibili -, capiscono di calcio meno di Toccafondi”), spiega che in linea con il monito di Mattarella gli scontrini torneranno ad essere emessi soltanto quando ci saranno le coperture finanziarie e se ce lo chiederà l’Europa. Molto sensibili ai richiami del Colle sono anche gli spacciatori maghrebini dal passaporto variabile, che nell’angolo dei videopoker hanno creato anche una piccola moschea per diffondere i valori dell’Islam moderato. Nabil, Ibrahim e altri esponenti della società civile nordafricana stanno apprestandosi a festeggiare lo scudetto numero 115: secondo il conteggio di Andrea Agnelli andrebbero infatti tutti assegnati alla Juventus tranne quello del Verona 1984-85, in segno di rispetto nei confronti di Fanna, Tricella e Galderisi. La vittoria sul Milan nella finale di Coppa Italia l’hanno festeggiata al Champions Pub, senza accorgersi che Zhou, ormai ultimo difensore dei valori dell’Occidente, gli aveva dato i salatini della riserva rancida, con aggiunta di aroma al bacon. E hanno giurato a se stessi che alla prima settimana di pausa dallo spaccio andranno in pellegrinaggio alla Mecca indossando la maglietta tarocca di Benatia (come già detto, quella originale non ce l’hanno né l’Adidas né tantomeno Benatia). Il difensore della Juventus è uno dei pochi argomenti che possa stimolare culturalmente gli italiani del Champions Pub, ma la loro macellazione halal avverrà in ogni caso troppo tardi: prima di essere sgozzati, senza nemmeno accorgersene, avranno già affrontato da ogni angolazione la crisi di Donnarumma, i limiti di Icardi e la bollitura di Mancini. Ritengono qualcosa di lontano la ragazza pakistana, ma di Brescia, ammazzata dal padre e dal fratello perché non voleva ubbidire: più utile capire se Spalletti ha la mentalità da grande squadra. Quegli invertebrati dovrebbero abbassare lo sguardo quando incrociano quello di Budrieri, ma ignoranza fa sempre rima con arroganza. E così ascoltano analisi che non meriterebbero il privilegio di ascoltare, da parte di un uomo che ha visto giocare con la maglia dell’Inter Renzo Rossi e Viviano Guida e che non dovrebbe confrontarsi con chi ancora crede alla Champions League.

“Non è certo stata la peggior partita della stagione, anzi. Discreto atteggiamento e tante occasioni, contro un Sassuolo in un assetto da battaglia abbastanza sospetto. Poi non è colpa dei poteri forti se Icardi si è mangiato tre occasioni enormi davanti a Consigli e se Spalletti ha inventato l’ennesima sostituzione alla cazzo del campionato buttando dentro il casinista Karamoh in un momento in cui l’Inter stava premendo in maniera ordinata e sembrava sul punto di pareggiare. Non farei grandi discorsi tattici, perché giocando uguale una partita così 9 volte su 10 la vinci, ma dico che non mi è piaciuto l’atteggiamento da celebrazione prima della partita: foto con i bambini, le mogli in campo, tutti ad applaudire come se fosse stata compiuta un’impresa epica. La quinta rosa della serie A ha portato ad un quinto posto che potrebbe diventare un quarto, buon lavoro ma niente per cui gridare al miracolo. Poi credo che da Crotone-Lazio esca un pareggio, quindi in teoria saremmo ancora in corsa, ma sono i giornalisti che cambiano opinione a seconda di un punto in più o in meno. Se il vostro idolo Ausilio avesse speso diversamente i non tanti soldi a disposizione, in panchina avremmo potuto avere Berardi invece di Eder e tante partite in bilico sarebbero finite diversamente. Berardi è da Inter e non soltanto perché è interista: è uno dei pochi in Italia ad avere detto di no alla Juve e l’ha pagata. Più che come calciatore lo vorrei come dirigente, al posto di questi impiegati italiani, inglesi e cinesi buoni solo a vendere magliette, che non conoscono differenza fra una squadra e l’altra e non hanno mai pianto per il gol di Hansi Müller al Groningen, Sì, Berardi è da Inter e non per quel tiro che avrebbe parato anche mio nonno”.

(39 – Ultima puntata ad essere pubblicata sul sito – La quarantesima ed ultima della stagione 2017/2018 sul libro ‘Non è da Inter – L’anno di Dalbert’ che sarà pubblicato a metà giugno. L’acquisto dell’opera è l’unica fonte di finanziamento della rubrica).

Tutte le puntate rivedute e corrette della stagione 2016/2017 di ‘Non è da Inter sono in ‘Non è da Inter – L’anno di Gabigol’ insieme all’inedito capitolo finale. 378 pagine, prezzo intorno ai 17 euro e unico mezzo per sostenere questa rubrica, il libro è in vendita presso Amazon, la Libreria Hoepli e tutte le librerie italiane che lo abbiano ordinato, dalle Feltrinelli alle altre: per quelle interessate il nostro distributore in esclusiva è Distribook. La versione eBook, al prezzo di 9,99 euro, è disponibile sia per Amazon Kindle sia per tutti gli altri tipi di eReader

P.S. Avvertenza per nuovi lettori della rubrica: ‘Non è da Inter’ è un’opera di fantasia che si ispira alla realtà, ma non è la realtà. Si può tranquillamente non leggere. Idee e cazzeggio quotidiano a tema Budrieri sono sulla pagina Facebook di ‘Non è da Inter’

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