Nessun rinvio per Moro e la scorta

17 Marzo 2018 di Stefano Olivari

I quarant’anni del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque uomini della sua scorta da parte delle Brigate Rosse ci ricordano tante cose, ma riducendo il discorso al micromondo dello sport ci ricordano soprattutto che siamo diventati più politicamente corretti, con tutti i pro e i contro della situazione. Provate a immaginare cosa succederebbe oggi se il leader di un partito, mettiamo Renzi o Di Maio, venisse rapito dopo l’uccisione di cinque uomini della sua scorta. Giustamente, per come la pensiamo nel 2018, lo sport e soprattutto lo sport nazionale, il calcio, si fermerebbero per almeno un turno per far capire di non essere qualcosa di avulso dal resto del paese. Cosa accadde invece nell’Italia del 1978, da qualcuno rimpianta?

Il giorno stesso dei fatti, il 16 marzo, si fermarono cinema e teatri. Era un giovedì, il giorno dopo uno dei famosi mercoledì di coppa. Dove fra le italiane era rimasta in gara soltanto la Juventus, reduce dalla vittoria ai rigori contro l’Ajax di Krol, Arnesen, Geels e La Ling, nei quarti di finale di Coppa dei Campioni (il cammino bianconero sarebbe terminato in semifinale contro il Bruges di Happel). La giornata di serie A si sarebbe dovuta giocare ovviamente di domenica e con tutte le partite allo stesso orario, come era normale: Lazio-Roma la partita di cartello, Juventus-Verona quella più importante per lo scudetto visto che la squadra di Trapattoni aveva 4 punti di vantaggio sul Torino e 5 sulla coppia Milan-Vicenza. Comunque tutto questo era programmato tre giorni dopo la strage di via Fani, con il tempo come minimo per un dibattito sull’opportunità di giocare. Invece non solo si giocò normalmente, ma nemmeno ci furono proposte di rimandare la giornata o di sottolineare che lo sport italiano era consapevole di quanto stesse avvenendo in Italia. Solo un minuto di silenzio, poco pubblicizzato e accolto diversamente da stadio a stadio. Da ricordare che presidente del CONI era da 34 anni Giulio Onesti, mentre quello della FIGC era Franco Carraro che a Onesti sarebbe succeduto qualche mese dopo, ma non è che dal ‘basso’ fossero arrivate chissà quali iniziative di solidarietà o proposte per dimostrare che il calcio era parte di una comunità.

La stessa linea fu tenuta quando Moro venne ammazzato, martedì 9 maggio. Nessun rinvio, nessuna iniziativa, ma questa volta almeno un minuto di raccoglimento per tutti gli eventi sportivi del mercoledì. Quindi Taranto-Juventus di Coppa Italia, un paio di partite della dimenticabilissima Coppa d’Estate, la terza tappa del Giro d’Italia e due match di pallacanestro, Xerox Milano-Perugina Jeans Roma e Cinzano Milano-Sapori Siena. Non un grande sforzo… Il campionato di calcio di serie A era già finito, con lo scudetto alla Juventus e le convocazioni di Bearzot per l’imminente Mondiale argentino, ma gli eventi calcistici e sportivi non mancavano. Dicendo che si scelse la linea ‘oppio dei popoli’ forse sopravvalutiamo i dirigenti dell’epoca, l’ipotesi più probabile è che lo sport si sentisse totalmente al di fuori del contesto sociale e nemmeno si ponesse il problema. I giornalisti non ebbero bisogno di parlare di ‘spettacolo che deve andare avanti’, tesi peraltro con un suo fondamento: lo spettacolo andò avanti e basta. Perché il calcio e lo sport ai tempi erano un’altra cosa rispetto al resto della società. Un male? Un bene? Di certo era così.

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