Recalcati e l’indignazione antonelliana

7 Febbraio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni nascosto fra la gente di Cuneo che ascoltava estasiata Nicola Roggero reduce dal Super Bowl, cantore di uno sport che sembra estinto, incantato dalla vita di Alberto Merlati al tempo del vino e delle rose. Perché Cuneo, perché il Piemonte, perché Alberto Merlati universitario azzurro che a Napoli sul terrazzo dell’albergo fingeva di fare miracoli indossando un peplo bianco da Gesù dei canestri? Perché, cari amici, siamo seduti per protesta davanti alla Mole: indignazione antonelliana. Ci piaceva tanto la Torino di De Stefano, di Gamba, che, fino a prova contraria è l’allenatore più vincente d’Italia e non lo diciamo adesso che siamo un po’ irritati con Recalcati, in arte Micione Charlie, eravamo attratti da quella del professor Guerrieri che ha generato Romeo Sacchetti. Adesso, dobbiamo confessarlo, siamo soltanto indignati e preoccupati.

Ci ha tirato per i capelli il padrone della Torino basket di oggi mentre ci chiedevamo perché uno con il carisma, le qualità di Recalcati, ha dato la colpa a tutti meno che a se stesso per un fallimento annunciato se pensi di trovare una squadra dove c’è Hollywood Vujacic, dove ci sono trecce impazzite e giocatori che non sanno cosa sia l’umiltà. Avrebbe dovuto capire anche lui che il suo predecessore, il Luca Banchi maremmano, aveva fatto più di un capolavoro. Ma torniamo al presidente che dichiara: Banchi non stava bene a Torino. Questo girare la frittata per far ricadere la colpa sul primo dimissionario è quantomeno ridicolo. Un po’ come l’Alessandro Gentile che dichiara di aver pagato per una colpa giusta, aggiungendo, ma porca miseria, che sarebbe pronto a rifarlo. Che tipo di pentimento sarebbe?

Dunque Banchi e Torino. Perché avrebbe dovuto stare male in una città magnifica, storia, arte, cultura, cibo, gente, un mondo che ha generato le dinastie del Torino e della Juventus della grande pallavolo? Certo la squadra gliela avevano fatta loro, i padroni, ma c’era la garanzia di uno sponsor importante come la Fiat. Aveva provato a ribellarsi, sbagliando nei tempi e nei modi, ma poi si era messo al lavoro facendo un capolavoro come ha detto il Galbiati che si è preso questa patata bollente e che difenderemo fino alla fine. Come avevamo fatto con Banchi quando dovette lasciare Milano perché inviso a chi monopolizza le squadre e il pallone. Dare le colpe all’uomo di Grosseto è davvero la cosa più ridicola e dovrebbero scriverlo quelli che almeno hanno spazio in questo basket, uno sport diverso. In tutto.

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