Tutto il male di Federer numero uno

20 Febbraio 2018 di Indiscreto

Il ritorno di Roger Federer in vetta alla classifica ATP, a 36 anni e mezzo e a quasi cinque e mezzo dall’ultima sua presenza al numero 1, grazie alla semifinale del torneo di Rotterdam poi stravinto in finale su Dimitrov, può indurci a copiare dalle agiografie già scritte e sarebbe la strada più facile, perché stiamo parlando del miglior tennista di tutti i tempi ben al di là dei numeri (20 tornei dello Slam, 97 ATP in totale più tutto il resto) che non rendono giustizia ai campioni del passato. Perché, va sempre ribadito, fino al 1968 i migliori erano tenuti fuori dai grandi tornei, fino al 1988 l’Australian Open è stato un torneo di media importanza e fino all’inizio degli anni Duemila le differenze fra superfici erano notevolissime, quasi da sport diversi: le tre doppiette Roland Garros-Wimbledon di Borg rimangono tecnicamente più grandi dei 20 Slam di Federer. Lo svizzero è il più grande perché ha attraversato diverse epoche anagrafiche e tecniche, sempre da protagonista e sempre aggiungendo qualcosa ad un gioco già simile alla perfezione: si pensi solo al rovescio coperto, insieme al servizio vero segreto della sua terza giovinezza.

Detto questo veniamo al punto. Uno sport il cui numero uno va per i 37 anni e il cui numero due va per i 32 è uno sport che non sta troppo bene, anche se si inquadra in una tendenza generale che per molti motivi (non tutti scrivibili) sta allungando a dismisura carriere, ingaggi e tempo sulla ribalta. Siamo ben oltre la retorica sul vecchio campione che non si vuole arrendere, che pure è giornalisticamente produttiva: il lettore-telespettore è di solito un tifoso, di solito non giovanissimo né baciato dalla fortuna, il vedere Buffon e Totti aggrappati all’agonismo fino a 40 anni e oltre li tira (ci tira) su, per motivi di identificazione facilmente intuibili. Ma se il più giovane azzurro di Coppa Davis è il trentunenne Fognini e nei primi 22 (siamo italiani, arriviamo fino alla posizione di Fognini) giocatori al mondo ci sono 12 ultratrentenni si capisce che la situazione va al di là di un fuoriclasse che pare eterno.

Con Federer stiamo in ogni caso andando oltre l’immaginabile, perché nemmeno Buffon pensa di giocare meglio del Buffon di dieci anni fa, mentre lo svizzero complici gli infortuni dei principali avversari, la pochezza dei più giovani, la sudditanza psicologica della generazione di mezzo (con Dimitrov, battuto 6-2 6-2 nella finale di Rotterdam, ha quasi scherzato), una programmazione ridotta al minimo e un gioco diventato molto più scarno pur nel suo splendore, sembra in proporzione al resto del tennis più forte rispetto a una decina di anni fa. Onestamente una brutta notizia per il tennis, in cui l’età media delle prime vittorie si è alzata ma non in maniera tale da giustificare l’esistenza di un vecchio, sportivamente parlando, al vertice. Prima di Federer il più anziano numero uno era stato Andre Agassi nel 2003, a 33 anni, e già sembrava qualcosa di incredibile. Poi ogni campione ha la sua storia: Borg si è di fatto ritirato a 25 anni e dopo i 25 McEnroe non ha più vinto Slam, Laver e Connors che nell’immaginario dell’appassionato erano emblemi di longevità hanno vinto l’ultimo Slam a 31 anni. Federer sta insomma riscrivendo la storia, ma con l’aiuto di un presente abbastanza modesto. Se Cristiano Ronaldo, esempio di dedizione assoluta e di cura maniacale del proprio corpo, dice a 33 anni di non essere in grado di fare le cose di qualche anno fa, c’è qualcosa che non torna.

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