Aspettando Moratti, ma anche Cantona

8 Dicembre 2017 di Indiscreto

Ci piace andare alle presentazioni dei libri che ci interessano, ma non a quelle dei nostri. La tensione è tanta e il rischio dell’effetto tristezza è sempre dietro l’angolo, perché tutti hanno i loro impegni ed è difficilissimo mettere insieme persone diverse e senza debiti nei nostri confronti, nel tardo pomeriggio di un giorno feriale e con un minimo preavviso. Con Massimo Moratti non correvamo questo rischio ed è per questo che la presentazione di ‘Aspettando Moratti – Vent’anni di Inter e giornalismo’, di Claudio De Carli, ha visto fra il pubblico (trenta sedute e trenta, ci dispiace, in piedi) persone spinte soltanto dal piacere di sentir parlare di calcio, senza nemmeno l’esca dell’attualità. Quel che aveva da dire su Juventus-Inter Moratti lo aveva già detto… Non mancheremo di pubblicare parti o capitoli del libro di Claudio, ma adesso che siamo freschi della presentazione preferiamo le parole di Moratti stesso, riferite anche all’autore (“Ho sempre apprezzato De Carli come giornalista e scrittore, per la sua fantasia e diversità. Tanti episodi tutti ricostruiti attraverso la sua memoria, ho trovato questo lavoro geniale”) ma soprattutto alla sua Inter. Parole che Milly e Bedy Moratti insieme ad alcuni amici di Indiscreto (Alessandro, Italo, Dane, Duccio, Andrea, Simone, Felice, Gabriele, Paolo, Dominique, Giorgio, Mirko) hanno ascoltato dal vivo: ringraziamo per averci dedicato del tempo, cioè il bene più prezioso, loro, gli altri giornalisti intervenuti e le tante persone che non conoscevamo. E mettiamo in forma agile, domanda e risposta (fra l’altro è andata quasi sempre così), alcuni dei temi toccati durante la presentazione e nel post.

Quanto le manca l’Inter?

Non mi manca, perché non l’ho mai lasciata. Sono tornato quello che ero prima, cioè un tifoso. Sia allo stadio, sia davanti al televisore. Oltretutto sono contento di come stiano andando adesso le cose. Non è che se uno è un tifoso debba per forza gestire la squadra per cui tifa…

Lei però di questa squadra è stato il presidente per quasi due decenni.

Sono cambiati i tempi, già da un po’. Per una famiglia, per quanto ricca, è impossibile gestire un club con ambizioni internazionali. Tutto deve essere inserito all’interno di una logica finanziaria e industriale, come è nel caso di Suning. Se invece le ambizioni sono minori, oppure si vuole comandare in una realtà di provincia, allora la gestione familiare può funzionare ancora oggi.

Si è sempre detto che la sua famiglia, in generale, sia sempre stata contro il suo impegno finanziario e personale nel calcio.

Posso solo dire che mia moglie era la più contraria quando ho deciso di comprare l’Inter (Intervento di Milly Moratti, ndr: “L’ho saputo dalla televisione e dalle telefonate degli amici, mentre stavo cucinando”). Ma è stata anche la più contraria quando ho deciso di venderla. Una decisione sofferta, ma necessaria.

Il momento più bello della sua presidenza? Facile dire Madrid.

La Champions League è stata la fine di un percorso, da interisti abbiamo apprezzato più le difficoltà dell’arrivare fin lì che il risultato finale. La prova è che quella coppa nemmeno siamo stati capaci di godercela, pochi festeggiamenti e l’addio di Mourinho.

C’è qualcosa che non è mai stato raccontato, a proposito della partenza di Mourinho per Madrid? È sembrato strano che lei non abbia fatto di tutto per trattenerlo. In questa storia c’è qualcosa di ancora non detto…

Già un anno prima Mourinho stesso mi aveva informato che c’era un interessamento del Real nei suoi confronti. L’avevo ascoltato, ma non mi aveva chiesto niente. Dodici mesi dopo la stessa situazione: in generale penso che non si possano tenere prigioniere le persone ma certo non è stata bella la modalità, con la macchina di Florentino Perez fuori dal Bernabeu la sera della finale. Si poteva aspettare un paio di giorni… Mourinho stesso si è pentito del suo gesto già mentre lo stava compiendo: poche ore dopo, nel mio ufficio a Milano, mi disse che si era reso subito conto che stava per andare in un’azienda, non in una famiglia, e che se avessi voluto sarebbe rimasto all’Inter. Gli dissi di fare liberamente le sue scelte, come del resto ho sempre detto a tutti. Certo le sue lacrime a Madrid, nascondendosi per non farsi fotografare, erano vere e mi fa piacere che ancora oggi dica che la sua vera squadra è l’Inter. Lo ha detto al Real, al Chelsea e lo dice anche adesso a Manchester.

Se Mourinho fosse rimasto il ciclo di quell’Inter sarebbe continuato?

Non lo si può dire con certezza, ma penso di sì. Benitez era un buon allenatore, ma sbagliò totalmente il modo di porsi nei confronti dei giocatori: non doveva ripetergli ogni giorno che Mourinho li aveva spompati, anche perché non era vero. Con Leonardo quella stessa squadra sfiorò un altro scudetto, poi lui se ne andò in maniera per me sorprendente: non aveva ancora deciso se volesse fare l’allenatore o il dirigente.

Sono tanti i colpi storici che per varie ragioni suo padre Angelo sfiorò, da Eusebio a Pelé. Qual è quello mancato da lei?

Facile la risposta: Cantona. Un giocatore e una persona che mi faceva impazzire, il destino ha voluto che dopo averlo seguito decine di volte in televisione insieme ai miei figli lo fossi andato per la prima volta a vedere in quella partita del Manchester United con il Crystal Palace, quella del calcio al tifoso. Non fu un bel gesto, ma nella confusione generale mi innamorai di Paul Ince, che già apprezzavo. Ince si scagliava contro tutti, poliziotti, avversari, tifosi, addetti vari, pur di difendere il suo compagno. Sembra strano dirlo, ma in quelle botte c’era più il desiderio di proteggere un compagno che violenza. Non a caso Ince sarebbe venuto all’Inter, mentre per Cantona purtroppo non ci sono stati i tempi giusti. Lo andai a trovare diverse volte a casa, ma si era ormai stancato del calcio e dopo la squalifica, due anni dopo, si sarebbe ritirato. Il Cantona del 1995 era il giocatore che avrebbe fatto fare subito il salto di qualità all’Inter. Quanto ai colpi che mio padre sfiorò, ne voglio citare uno di cui non si è mai parlato: Uwe Seeler. 

Il punto più basso della sua presidenza è stato il 5 maggio 2002?

Non racchiudo in quella data tutti i mali del calcio e dell’Inter, come in molti fanno. Sono circolate tante versioni e tanti retroscena, ma posso dire con certezza che quella Lazio-Inter è stata persa durante la settimana che l’ha preceduta: troppa sicurezza da parte dei giocatori più importanti, troppa fiducia nell’arrendevolezza della Lazio, con all’opposto un Cuper che si macerava con i suoi presentimenti negativi. Perdo anche questa volta, mi diceva, perdo anche questa volta: non che lo dicesse ai giocatori, ovviamente, però l’atteggiamento e la faccia erano quelli. Da una parte rilassatezza, dall’altra tensione. Servivano invece equilibrio e concentrazione. Mi ricordo che intervenni, ma purtroppo si era ormai creato un clima sbagliato. Di certo mi dà molto fastidio quando si ricordano gli errori di Gresko, perché quella partita fu persa dai giocatori chiave, quelli che devono trascinare gli altri.

Il titolo del libro, ‘Aspettando Moratti’, vuole rappresentare un certo giornalismo da strada che negli anni si è un po’ perso. Certo è che i cronisti la aspettavano sotto casa, mentre non facevano la stessa cosa con Agnelli e Berlusconi. Si è sentito trattato dai media in maniera diversa rispetto ai suoi colleghi? Ci riferiamo anche ad editoriali e ironie…

Ognuno ha il suo carattere e il suo stile, fra i giornalisti e fra i presidenti, ma non mi sembra giusto fare la vittima. Anzi, nella media i giudizi su di me sono stati positivi: poi è chiaro che nel calcio cambiano in base all’ultimo risultato. Per quanto mi riguarda, preferivo che i giornalisti sapessero le notizie sull’Inter direttamente da me, che ne ero responsabile, invece che da altri canali.

Con quale giocatore c’è stato un rapporto al di là di quello calcistico?

Dal punto di vista tecnico ho sempre avuto le mie preferenze, non solo Recoba come si dice, ma in generale ho sempre tenuto al rispetto dei ruoli. Anche quando mi sono trovato di fronte bravissimi ragazzi, e anche quando la frequentazione è stata lunga, come con Zanetti, è chiaro che loro mi vedevano sempre in un certo modo, per la differenza di età e di ruolo. Giusto così.

La sua Inter del cuore è stata quella del primo anno di Ronaldo, quella quasi tutta italiana allenata da Simoni?

Ma come? Dicevano che non avevamo italiani… Quella era una squadra davvero emozionante, anche se inferiore a molte di quelle che sarebbero arrivate. C’erano però il miglior giocatore del mondo e uno spirito giusto.

Ci sarà un altro Moratti presidente dell’Inter?

Fecero la stessa domanda a mio padre e lui disse ‘Chi lo può dire? Non posso rispondere per conto dei miei figli’. Ecco, la mia risposta è la stessa.

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