Andy Capp e la fine dell’Occidente

12 Ottobre 2017 di Glezos

“….Andy è un anarchico tipicamente dei nostri anni, anzi dei nostri mesi…Nell’agire – ovvero, nel non agire – di Andy c’è il germe della dissoluzione societaria: se il suo comportamento diventasse epidemico sarebbe la fine della civiltà occidentale”.  (Carlo della Corte, da ‘Arriva Andy Capp’, Editoriale Corno, Dicembre 1968).

Carlo della Corte ci aveva quasi preso, nell’introduzione al primo volumetto che nel dicembre ‘68 ci introduceva – a dieci anni dalla comparsa in patria – a una delle figure leggendarie dell’immaginario britannico. Il mitologico Andy Capp, anarcosindacalista dell’ozio nato da immaginazione, matita e serate al pub di Reginald Smythe, arrivava praticamente sul suono dell’ultima campanella: nell’arcipelago fumettistico non era ancora tempo di full immersion a stelle e strisce, ma ancora per poco. Editoriale Corno – sempre lei – si accingeva a trasportare in Italia il primo contingente Marvel, e nell’introduzione a quel fatale primo volumetto l’introduzione era in atmosfera sessantottina, a partire dal glossario. Ci penso su un attimo, prima di dirigermi alla cassa con in mano il prezioso esemplare: i fumetti non sono la mia tazza di té, e a pensarci bene forse nemmeno Andy. Perchè lo voglio a tutti i costi?

La prima volta lo incontravi sempre lì: Settimana Enigmistica, Le vicende di Carlo & Alice. Eravamo poco più che cuccioli e non potevamo sapere che solo una severa dissociazione cognitiva in fase di traduzione aveva trascinato la piuttosto gloriosa coppia Flo-Andy sotto l’ombrello tricolore dell’imbarazzo. Perchè va bene tutto, ma coniugare in italiano – anche nell’aspetto – una vita domestica tutta british alla ‘Man About The House’ (Un uomo in casa, da noi) è fantasia davvero sfrenata, e nel confronto non c’è italiano al bar che tenga. D’accordo: lei a casa e lui al bar anche da noi, ma alzi la mano chi non ha mai pensato che aplomb fancazzista britannico, birra scura e flat cap calato sugli occhi non facessero la differenza.

Differenza a favore di Andy, ovvio. A partire dagli spalti, anche se dai primi anni degli albi della Corno all’ingresso ufficiale di Andy nell’immaginario da stadio di tempo ne è passato fin troppo. Non ricordo bandiere a due aste con la sua effige se non in tempi (molto) relativamente recenti, quasi a rivendicare un attaccamento a icone di una mentalità che se non proprio da ultras ha relazione con il sempre più questionabile concetto di ‘calcio moderno’. Personaggi, simboli e riferimenti propugnati fino a oggi da generazioni molto più verdi di quella che la gradinata se l’è fatta in contemporanea alle strisce, quelle di Andy Capp e non quelle di altro tipo venute dopo. Anche questo fa una certa differenza. Guardo il faccione di Andy spuntare da uno striscione allo stadio nel 2017, vedo qualche ardimentoso col flat cap in mezzo a tagli di capelli ancora alla Prodigy e mi viene da sorridere. Lui nel regno di Sua Maestà era prototipo e riflesso di un lifestyle (lifestyle? E cos’era?) che rimbalzava nel triangolo football-pub-sala corse: imbeccati dagli inevitabili americani avremmo scoperto in seguito che escludere il football e tenersi stretto il resto faceva tanto Bukowski. Ma ai tempi non era ancora cosa. Niente foto abbracciati al monumento di Andy Capp ad Hartlepool – non c’era ancora -: se seguivi il calcio ed eri esterofilo guardavi all’Inghilterra e incrociavi lo stile della strada con abitudini che il tuo vecchio non aveva (lui andava qualche volta al bar sotto casa) ma quello del tuo amico di Londra sì, al pub con la Guinness in mano tutto il tempo.

Arrivo alla cassa. Questo primo, elegantissimo volumetto dedicato al nostro quasi eroe è proprio la prima stampa: rilegato, hardback, 128 pagine, tavole a quattro vignette. E’ l’inizio della lunga serie trasportata poi in paperback, più piccoli in formato e con meno pagine (95) dai titoli quasi stratosferici: Andy Capp, lazzarone pubblico n°1; Di bere in meglio; il rarissimo e imperdibile trattato (tutt’altro che ameno) Il Vangelo secondo Andy Capp; Il mondo sono me; La birra-arma preferita del contestatore globale; Riflessioni di un nullatenente; Andy Capp olimpionico della contestazione; Andy Capp lo sportivissimo. Sportivissimo? Mah, forse a modo suo. Le sue entrate sulle gambe e la sua considerazione zero di concetti irrilevanti come lealtà, rispetto, pazienza e salute fanno probabilmente parte del galateo di qualche sport estremo non ancora inventato. Eppure mentre pago ho la vaga sensazione di far parte di quella genìa che ha più di qualcosa in comune con lui. “Andy è uno sfrenato consumatore: di alcolici, ma anche di immagini televisive e di stinchi altrui quando si getta, mostrando un piglio e uno slancio insospettabili, nell’agone sportivo”. Anche qui Carlo della Corte ci ha quasi preso: forse non sarò un frenetico consumatore di alcolici, forse in campo non mi lancio sugli stinchi dell’avversario (va bene, qualche volta entro fuori tempo, magari falciandolo). Ma ogni tanto mi piace pensare di avere un piglio e uno slancio insospettabili – anche un po’ da bastardo – in quello che faccio.

Reginald Smythe detto Reg, il papà di Andy, è morto durante i mondiali in Francia nel ’98. Quest’anno avrebbe compiuto 100 anni, nello stesso anno in cui suo figlio Andy celebra i 60. Mi hanno detto che fosse un tipo molto simpatico, cuoco provetto, gran bevitore di Guinness e in generale ottimo papà, almeno secondo Andy che lo conosceva bene. Al contrario della ragazza alla cassa, che sorride dicendomi: “Ah, Andy Capp. Com’è, è divertente? Magari un giorno di questi me ne leggo uno”.

Esco dalla libreria e mi dico che no, non lo troveresti molto divertente, ragazza alla cassa. E so che questo numero 1 del ‘68 lo custodirò con cura, io che non amo i fumetti. Forse faccio anch’io parte del club di chi condivide uno strano affetto per il signor Capp, come quel cantante di bluebeat degli anni Sessanta, che scelse proprio Andy Capp come pseudonimo e gli andò pure bene, visto che centrò qualche hit all’epoca, uno dei quali (The Law) è regolarmente incluso tra i classici dello skinhead reggae e dell’era dei suedeheads del tempo che fu.

Dunque, ricapitolando: beone, infedele, cialtrone, falloso e anarcosindacalista del fancazzismo. Gran personaggio, ma lo vorrei come amico? Ammetto che il mio quasi affetto è un po’ contraddittorio. E’ come nel caso della nonna nel film Il Tempo Delle Mele: divertentissima, spiritosissima sullo schermo, ma ad averla per casa c’è da strangolarla. Mah. Va bene la bandiera a due aste, ma mi sa che nella realtà di tutti i giorni ai tipi come Andy Capp ti affezioni solo se li guardi da lontano.

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