David Gilmour Live at Pompeii, il passato vince ancora

19 Settembre 2017 di Indiscreto

Un lavoro impiegatizio riguardante Euro 2016 ci aveva tenuto lontani dai due concerti di David Gilmour il 7 e l’8 luglio a Pompei e così ci siamo illusi di rimediare andando al cinema per la tre giorni (13-14-15 settembre) del film di David Elder che dovrebbe lanciare il dvd David Gilmour Live at Pompeii. Stiamo parlando di un’operazione dichiaratamente commerciale, fatta per noi tossici, che sfrutta il leggendario concerto nell’anfiteatro romano che i Pink Floyd tennero nel 1971 a beneficio di… nessuno. Non erano ancora arrivati i dischi più famosi del gruppo che Rolling Stone ha ridicolmente collocato al cinquantunesimo posto nella classifica pop-rock di tutti i tempi, quindi le canzoni sono quasi totalmente diverse (è rimasta solo One of these days) dalla prima volta. Qui il pubblico ha pagato quasi 400 euro a biglietto, ma è solo cronaca, senza demagogia sul caro-biglietti, perché se ci fosse una proporzione un concerto di Fabri Fibra o di Ghali dovrebbe costare un millesimo di centesimo di euro, mentre così (giustamente, tutti devono vivere) non è.

Ma purtroppo a Pompei non c’eravamo e così commentiamo solo il film, che abbiamo visto venerdì scorso in un cinema meno deserto del previsto e trovato abbastanza piatto, anche accettando l’ortodossia dei documentari sui concerti dove tutti sono grandi musicisti, tutti una grande famiglia, tutti si sorridono. Certo è che Gilmour dei Pink Floyd ha sempre rappresentato lo stile e l’anima, mentre Roger Waters era il genio, su Indiscreto se ne è già discusso. Solo che lo stile rimane, mentre il genio può materializzarsi solo in condizioni particolarissime: per questo si può dire che Gilmour sia invecchiato meglio, fra le messe cantate del periodo Pink Floyd e i suoi più che ascoltabili dischi da solista.

Ovviamente non ci poteva essere la magia del 1971, quando tutto fu improvvisato dopo un’idea venuta al regista Adrian Maben ed un permesso lampo ottenuto dalla Soprintendenza archeologica. Riprese dal 4 al 7 ottobre, niente pubblico e un grosso problema: l’elettricità che veniva e soprattutto andava. La prima soluzione fu sfruttare l’impianto di una chiesa di Pompei, con un cavo chilometrico posato e curato da volontari. Non funzionò e così l’allacciamento venne fatto con il Municipio… La genesi del documentario, uscito tre anni dopo, fu travagliata perché parte del girato venne persa e anche la qualità audio delle registrazioni era pessima, fatta eccezione per A Saurceful of Secrets e One of These Days. Ne sarebbero nate diverse versioni, fra cui una (quella che si vide nei cinema) con aggiunte girate in altri luoghi e parte del making di The Dark Side of the Moon, tutte con quella magia che nel 2016 Gilmour è stato in grado di restituire solo in minima parte.

Fra l’altro nel 1971 l’assenza di pubblico era assolutamente funzionale all’idea, che era quella di contrapporsi alle grandi adunate tipo Woodstock e ad una certa retorica cazzoduristica del megaconcerto arrivata fino ai giorni nostri e cavalcata anche dai Pink Floyd (‘Eravamo a Venezia’ suona un po’ come ‘Eravamo a Milan-Cavese’, ma nel nostro caso sono vere entrambe le cose) della maturità e del declino post-Waters. Non a caso il gruppo era molto amato da Antonioni, che al di là dei litigi successivi (scartò quasi tutte le canzoni proposte, compresa quella che sarebbe diventata Us and Them) lo aveva scelto per tutta la colonna sonora di Zabriskie Point. E quindi? Il tocco ma anche la voce di Gilmour ci commuovono sempre e non è uno scandalo citare un grande passato, soprattutto quando è il proprio. Purtroppo però è il passato.

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