Animali veramente affascinanti

9 Settembre 2017 di Indiscreto

Egregio Direttore, prima di tutto complimenti per il clamoroso record di click generato dalla saga Erminio Ottone-Antropiovra: il Suo DNA di imprenditore lombardo la aiuta sempre a intuire gli argomenti che possono generare profitti, la sua vita piena di successi lo dimostra. Sono onorato di esserle amico.

Da collega Le chiedo ospitalità per quel dovere di cronaca che sempre s’impone e in particolare nel caso che vado a trattare: la verità va ristabilita, per dolorosa che sia. Premessa. Sono stato qui su Indiscreto uno dei tanti lettori avidi delle gesta di Erminio Ottone, personaggio tanto più degno di ammirazione in quanto reale e in quanto aderente, anzi perfettamente sovrapponibile, allo stereotipo che incarnava. Non c’è nulla di più letterario della realtà, così come – per chi si è pasciuto dei film di Alberto Sordi, Totò, Ugo Tognazzi e poi di quelli dei loro epigoni Boldi e De Sica – non c’è nulla di più rassicurante della realtà che aderisca appunto agli stereotipi e ai tipi dell’italianità: lo rileva inappuntabilmente, nel suo tomo “Le frattaglie di Plutone” (1999, ed. La Spada, cap II, pag. 25), l’esimio Francantonio Carmelozzi, amico di tante battaglie culturali in nome della libera aerofagia e già docente di post-refrattarietà comparata all’università di Rottemburgo.

Erminio, appassionato cacciatore e collezionista di figa ma non purchessia, è stato la perfetta maschera vivente del figaiolo seriale, la cui tensione quotidiana alla ricerca della nobile fessura, in spregio a qualunque altra attività di potenziale disturbo al raggiungimento del fine, era sì specchio di autismo, sordo alla vita glabra dell’omuncolo medio, però rappresentava anche la sublimazione del genio italico in ambito icastico, né sembri blasfema l’iperbole. Nella materia di cui fu indubbio primattore (non capostipite, si badi, ché non gli appartiene il guizzo primigenio estraneo all’indole conformista) può infatti paragonarsi a uno stilnovista, a un Vespucci in sedicesimo, perfino a certi eremiti votati all’isolamento dalle umane cose. Patria di santi, poeti e navigatori, siamo. E di romani cazzari, di napoletani magliari, di genovesi tirchi, di torinesi falsi e cortesi. Nonché di erminiottoni milanesi.

D’altronde la fiera appartenenza all’ethos, ostentata con punte di innocuo e autocompiaciuto razzismo, completava in Erminio un ritratto di commovente perfezione caricaturale. Per i pochi che non lo sapessero, “Ciao, gran terone” è tuttora il saluto prediletto dell’Ottone, la cui scarna produzione poetica giovanile annovera un sonetto-invettiva di assonanze destrorse e leghiste che andrebbe portato a conoscenza di Salvini: “E un teròn del caz sei tu”, recitava l’asciutto verso finale del protoxenofobo della Ghisolfa, pronto a dividere in realtà una vodka lemon con chiunque, siciliano o addirittura nero, a patto di poter virare successivamente sul noto obiettivo.

Razzismo allo zafferano a parte, Erminio rappresentava ciò che in fondo tutti noi avremmo voluto essere. Ne accresceva la figura il fatto che i suoi racconti fossero rigorosamente veri (forse i suoi . Nessuna punta di mitomania ne offuscava il limpido profilo di profeta della copula fine a se stessa. La serietà con cui perpetuava il proprio mito, la professionalità con cui si accingeva al diuturno impegno nel mietere prede lo rendevano un faro per noi grigi travet del faticoso coito: vivevamo attraverso le sue imprese, per interposta minchia, il successo del maschio latino o longobardo, insomma del genere e della razza.

Ma c’è un ma. Ei fu, purtroppo. Urge l’uso del passato remoto o quanto meno dell’imperfetto. Il caro estinto se n’è andato e nessuna pallida copia virtuale, nessun avatar tanto posticcio da rasentare il grottesco può resuscitarlo. Tanto meno lo può fare l’autore dello squallido video postato su Facebook e soprattutto della successiva lettera, ancora più squallida, che quel video tenta invano di giustificare. Che poi l’avatar in questione sia l’Erminio Ottone attuale è un’evidenza trascurabile. I Ros potrebbero anche dimostrare tecnicamente che l’Ottone lucido d’antan e quello opacissimo dei giorni nostri sono la stessa persona. Tuttavia si tratta di due persone, ahinoi, diversissime. Lei, Direttore, ha cavalcato il revival con la scaltrezza che le è propria: è tornato Erminio, annuncia, e il link moltiplica i clic. Non lo faccia più, la prego: non si uccidono così anche i Bobby Solo, gli Al Bano, i Toto Cutugno, gli Amedeo Minghi? Sopravvivere alla propria leggenda è privilegio concesso a pochissimi, di sicuro non all’Ottone odierno.

Parlo, tristemente, a ragion veduta. Conobbi infatti Erminio Ottone al fulgore, ma in modo assai superficiale: lo intercettai sul campo di calcio – i palcoscenici in cui eccelleva mi erano giustamente preclusi – dove viveva un dignitoso crepuscolo da portiere e dove s’intuivano le antiche potenzialità sportive, frustrate dal prioritario interesse per la figa. Sono invece testimone diretto della metamorfosi successiva, frutto dell’anagrafe e soprattutto del taumaturgico incontro con una donna eccezionale, che la sorte benevola ha concesso all’eroe in declino. La trasformazione non è necessariamente un male. Personalmente la giudico provvidenziale: le peripezie ottoniane, se protratte oltre i confini della fisiologia e del buon gusto, avrebbero prodotto un pasticcio drammatico, un Vacchi allo svacco al netto dei tatuaggi e degli addominali. Il savio fidanzamento ha restituito per fortuna l’ex nottambulo indefesso a una dimensione a lui ignota, epperò salvifica: più casalinga e stabile, meno vorticosa e straniante. Adesso Erminio è uno di noi. E incontrarlo è per il volgo come imbattersi all’Esselunga in Piergiorgio Struzzani in arte Folco, il re della lambada di Pontirone Sottano. Posso fare un selfie? Mi racconti di quella volta al Pelledoca con l’Antropiovra?

L’eroe merita senz’altro la celebrazione di un passato così fulgido: si astenga però dal macchiarlo con la narrazione della sua attuale normalità sui social, vera peste bubbonica. Peccato che l’avatar abbia già ceduto alla tentazione. Nella propaggine sicula della sua ennesima vacanza greca, stucchevole tentativo di variatio al tran tran brianzolo, ha filmato l’avvistamento di un branco di delfini. L’ evento è statisticamente non raro, in quel tratto di mare, e certamente più probabile di una vittoria del Cuoiopelli col Real Madrid. Eppure l’animalista d’accatto non ha resistito alla pulsione da regista del National Geographic: ha dunque dispensato come eccezionale il banale al popolo di faccialibro, presentandosi nella molto inedita e molto poco credibile veste di novello Piero Angela. Ne è uscito un patetico pastrocchio adolescenziale, del quale colpisce l’audio, ed è un colpo al cuore. In mezzo a gridolini di eccitazione per il delfinismo, spicca un’esclamazione maschile, presumibilmente attribuibile a un ultraquarantenne. Il quale, con voce artatamente stridula, parla ai cetacei: “Ciao! Ciao!”. L’intonazione è assai simile a quella di Altafini quando, invitato a Portobello da Enzo Tortora, tentò di strappare un verso all’indocile pappagallo. E’ superfluo aggiungere come, tra l’esibizione televisiva del grande Josè e la risibile imitazione del San Francesco in havaianas, ci sia di mezzo appunto un mare: di dignità.

Ma che cosa succede a questo punto? Succede che erminiottone tutto minuscolo, rivaleggiando in ovvietà col compare di natante nel frattempo zitto forse perché sorpreso dall’assenza di risposta dei delfini, se ne esca con un’affermazione di totale cretineria, così inutile da rendere i bigliettini dei baci Perugina un campionario di saggezza enciclopedica: “Sono animali veramente affascinanti”, sentenzia il nostro. Il video s’interrompe di lì a poco, segno che perfino i compagni di watching, per quanto inebetiti dal sole, hanno colto la gravità dell’episodio. Ma che cosa fa ancora erminiottone? Non pago della cazzata, la diffonde sul web come verità rivelata. Confida probabilmente nel letargo estivo della rete e nell’annesso calo di attenzione dei più avveduti: lo si immagina felice a rimirare il cortometraggio. Però il Folco Quilici della Baggina non ha fatto i conti con la memoria dei suoi vecchi fan, che lo fustigano secondo logica, tanto più implacabili in quanto traditi dal proprio modello.

Decenza suggerirebbe allora un prudente silenzio: l’oblio spegne a lungo termine le cazzate degli idoli, di cui resistono soltanto i più bei ricordi. Invece che cosa fa erminiottone, in pieno delirio di onnipotenza? Prova a rimettersi la lettera maiuscola e scrive una lettera davvero minuscola. Dalla quale si dovrebbe evincere che il video in questione nascesse dall’insopprimibile esigenza di condividere, con gli sfortunati assenti, gli spettacoli della natura. E che – spericolato assioma – postare un filmato con gli animali come protagonisti equivalga alla reprimenda dei cultori dell’io, sempre pronti a invadere i social con la loro insopportabile autoreferenzialità. E’ superfluo dire che niente è più autorefererenziale di chi vuole dare lezione agli altri. Ma questa, con tutto il rispetto, è materia troppo complicata per erminiottone. Che tuttavia non ne ha abbastanza. Vuole convincerci della più grande bugia: Erminio Ottone è vivo e lotta insieme a noi, solo che si è spostato da Corso Sempione a Moscova e cazzeggia sempre come prima, state tranquilli. Stia tranquillo lui. E soprattutto stia zitto. Non offenda la memoria di se stesso, non diventi figura tragica. Non deluda generazioni cresciute nel mito, peraltro fondato sulla realtà, delle sue notti all’Hollywood o sui divanetti del fu Casablanca, facendo al suo confronto apparire Vieri e Inzaghi come legnosi sfigati. La prossima volta, se gli viene voglia di filmare un leone allo zoo, si faccia tre vodka lemon. Lo lasceranno più sobrio.

Alberto Ofiuco (giornalista pubblicista)

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