Lo sport di parlare male della RAI

15 Agosto 2017 di Stefano Olivari

La sedicesima edizione dei Mondiali di atletica è stata forse quella che ci è piaciuta di più, per la varietà di personaggi e le gare quasi tutte tirate. Abbiamo la fortuna di averle viste tutte, tre anche dal vivo (Roma, Siviglia ed Helsinki 2005). E pazienza se sono mancati il temino di terza media su Bolt, fenomeno anche nell’invecchiare naturalmente (è l’unico dei primi 6 all time sui 100 a non essere mai stato squalificato per doping) e lasciare al momento giusto, l’esaltazione delle doppiette, il racconto di un miracolo italiano o i record, non volendo considerare tale quello nella 50 chilometri femminile di marcia (7 partecipanti mischiate agli uomini). Tutte cose che gli interessati alla materia, reduci da 10 giorni bellissimi, già sanno.

Essendo Indiscreto un sito di opinione, ecco l’opinione. Non è vero che l’atletica sia uno sport in declino, anzi l’umanizzazione forzata di certe prestazioni (il rendimento di Kenya e Giamaica rispetto al recente passato, il quasi azzeramento di Russia e Spagna, il ridimensionamento della Cina) a causa di un antidoping leggermente più serio, senza esagerare (e comunque solo in minima parte merito della IAAF), ha rimescolato un po’ le carte e chi ha un’organizzazione seria (Francia, Gran Bretagna, Polonia) ne ha beneficiato subito. Fra i grandi impuniti rimangono impuniti gli Stati Uniti, fra l’altro unici nell’universo a schierare un atleta, Gatlin, con due squalifiche per complessivi 6 anni alle spalle. L’Europa è ancora ben viva e non ha bisogno di porcate come quelle della 4×100 turca, con un azero e due giamaicani. Cose che la vituperata Italia non fa, bisogna dirlo: qualche caso di furbizia, soprattutto del genere matrimoniale, ma certo non un sistema.

Comunque un grandissimo spettacolo, che la RAI ha raccontato secondo noi molto bene e con una copertura totale, fra Rai Sport e Rai Due, alternando il racconto pop a momenti ipertecnici. La scelta discutibile, ma non nuova, di avere fra gli opinionisti un uomo della FIDAL come Dino Ponchio è stata più che bilanciata dal senso critico di Franco Bragagna e Stefano Tilli: mai sull’emittente di stato si sono ascoltate, nemmeno in presenza di disastri azzurri in altri sport, posizioni dure come quelle ascoltate in questi giorni. Comunque pareri sempre motivati, non critiche da bar. E lo diciamo pur non essendo d’accordo con una delle loro tesi, cioè che i problemi partano dalla scuola: anzi, se milioni di italiani hanno una minima idea di cosa sia l’atletica lo si deve al classico insegnante di educazione fisica appassionato. Elisabetta Caporale è stata la più penalizzata dall’inconsistenza degli italiani, non per i loro risultati ma per l’atteggiamento fra il fatalista e lo spocchioso (con punte inarrivabili della Grenot, che se non fosse stata un anno in vacanza pagata dalle Fiamme Gialle avrebbe potuto portare la staffetta al bronzo, ripetendo il tempo di Rio), ben diverso dall’autocritica feroce dei nuotatori da lei frequentati qualche settimana fa a Budapest. Dolorosamente giusta la scelta delle finestre per seguire corse e concorsi in contemporanea, diciamo ‘dolorosamente’ perché nel mezzofondo vorremmo lo schermo intero dal primo all’ultimo passo, ma effettivamente ci sono stati momenti (come quello in cui c’erano 5000 tirati, una grande gara di giavellotto e un’altra di pari spessore di alto femminile) in cui non si poteva scontentare nessuno. Certo con il nostro amato Giorgio Rondelli sarebbe andata un po’ diversamente.

Abbiamo letto, da Aldo Grasso in giù, critiche abbastanza negative sulle trasmissioni RAI, e ci viene il solito cattivo pensiero: difficile criticare La Sette di Cairo (certo non lo fanno il Corriere e la Gazzetta, ma anche gli altri non brillano perché l’astuto editore di destra ha riempito la rete di personaggi di sinistra, dalla Gruber a Zoro), così come big  spender pubblicitari tipo Sky e Mediaset, più facile fare i fighi esaltando la serie americana da zero virgola con l’anatomopatologa lesbica e fanatica del 4-3-3 o attaccando l’unico programma guardabile dei mesi estivi, anche da un pubblico generalista. Come se il principale problema della RAI fosse Bragagna che interrompe il suo interlocutore per raccontare gli hobby di un martellista estone.

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