Fantozzi e la perquisizione all’Old Trafford

3 Luglio 2017 di Paolo Sacchi

Qualche mese fa, all’Old Trafford, uno steward ha cortesemente rifiutato di farci entrare in quanto avevamo un iPad, peraltro senza la benché minima intenzione di usarlo. Purtroppo non ricordavamo che le norme di tutela dei diritti d’immagine del Manchester United vietano la possibilità di introdurre nello stadio videocamere e affini, altrimenti avremmo evitato di portarlo. Con i tempi stretti il problema era trovare una soluzione e possibilmente evitare la coda chilometrica per la consegna e la restituzione al deposito oggetti, che avrebbe fatto perderci decine di minuti preziosi a fine partita.

Dunque abbiamo deciso di correre un rischio – e una figuraccia clamorosa – facendoci ispirare direttamente da una famosa scena fantozziana: la perquisizione all’ingresso del cineforum in cui viene proiettata La Corazzata Potëmkin (Kotiomkin, nel film) del maestro sovietico Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, a cui sarebbe seguito il dibattito della “cagata pazzesca”. Anziché nascondere la radiolina nella borsa o nella giacca, Fantozzi la tiene in mano e chi lo perquisisce non se ne avvede. Così abbiamo ritentato ad entrare nello stadio: stavolta tenendo l’iPad in mano. Per quanto possa sembrare incredibile, nessuno l’ha notato. Lo steward ci ha sorriso e aperto il tornello senza problemi. Era la certificazione che Paolo Villaggio aveva capito tutto e che la sua cosiddetta comicità grottesca in realtà era lo specchio di come funziona la vita.

Paolo Villaggio è stato un artista dotato di grande talento e straordinarie intuizioni. Attore, scrittore, sceneggiatore ma innanzitutto grande innovatore e fine, cinico psicanalista della società italiana che da agricola si era nel frattempo trasformata in impiegatizia. È nato nel posto giusto e nel momento giusto per rinnovare il teatro, la televisione e il linguaggio. Ha raccontato un periodo di stratificazione sociale e un mondo – quello di un nuovo ceto medio – che dopo il boom stava appiattendosi verso nuovi valori. Dopo essersi illuso di poter scattare in avanti, stava scivolando all’indietro e tornando verso il basso. Quando Villaggio compare in tv per la prima volta, parliamo del 1968, con un atto di coraggio dell’emittente, che ne intuisce le qualità, la Rai è ancora politicamente correttissima. Ingessata. Lui la travolge, stravolgendo i rigorosi modelli dell’epoca. È il primo conduttore che interagisce con il pubblico e lo strapazza. Ha un approccio “aggressivo” e ironico, spazza via i salamelecchi e il linguaggio affettato che fino ad allora (e in parte ancora oggi) costituivano una modalità – se non un architrave – del rapporto tra palco e platea, tra conduttore e ospiti.

Prima di Fracchia e Fantozzi, il primo grande personaggio rappresentato sullo schermo è stato il prestigiatore Kranz. Scelta non casuale. Per un’intera generazione e nell’immaginario collettivo italiano, a poco più di vent’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il mondo germanico evocava ancora sinistri ricordi. Il professore, illusionista sgangherato, grottesco e autoritario, in qualche misura ha contribuito ha rendere divertente se non piacevole l’immagine dei tedeschi al grande pubblico italiano. Il linguaggio di Kranz e la sua rappresentazione in scena sono clamorosamente innovative. L’accento e la dialettica ricordano quelle di un ufficiale nazista, mentre corre avanti e indietro con due cammelli di pezza sottobraccio. È seguito dalle telecamere: l’effetto visivo è senza precedenti e ispirerà decine di programmi nelle epoche successive.

Ogni capitolo, ogni storia dei primi due film e libri di “Fantozzi” sembrano uscite da una rielaborazione di certi racconti di Checov. Fantozzi e ancor prima Fracchia hanno ritratto un’imprenditoria cialtrona e una classe impiegatizia succube, entrambe fondamentalmente ignoranti e opportuniste. La memorabile partita di biliardo – con tutto il pubblico impiegatizio che si schiera col potente, anziché sostenere il più debole – ne è il manifesto. Al contrario dei personaggi di Checco Zalone, che inserisce nelle sue storie anche valori e personaggi positivi e in ultima analisi anche un elemento di redenzione se non proprio una certa presa di coscienza, in Fantozzi il futuro è ancor più triste, meschino del presente. Se vogliamo, almeno nei primi due film ha anticipato il passaggio della società verso un (triste) consumismo di massa, in cui l’apparenza ha sostituito la sostanza.

Gli altri “Fantozzi” usciti negli anni, se vogliamo più banali e destinati a un pubblico di famiglie e bambini, non hanno avuto l’effetto dirompente delle prime versioni. Né, se vogliamo, le apparizioni teatrali o televisive dei decenni successivi. Poco male: Paolo Villaggio un posto nella storia del cinema e della tv se lo era già meritato da tempo. E anche – Old Trafford a parte – anche nelle nostre vite.

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