Il viaggio di Mario De Sisti

15 Maggio 2017 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dal Parco della Resistenza di San Lazzaro di Savena dove gli amici di Willy stanno preparando per il 3 e 4 giugno la settima edizione di Happy Hand, giochi senza barriere per abili e disabili, alti e bassi, giovani e giovani dentro che amano stare insieme con ironia, nella festa delle idee, delle persone e della solidarietà senza vincoli federali che diventano spesso nodi scorsoi con gente dalle pretese assurde che neppure si vergogna o viene svergognata per decenza. Ci siamo andati perché avevamo voglia di respirare aria nuova, cercando di capire, chiedendo l’autorizzazione a Sani, Pellacani, se giovedì prossimo potremo presentarci nella sede Sky di via Russo a Rogoredo, regno del massimo sapere cestitico, anche quello senza sapore, regno delle radiocronache televisive senza confini per il super-ego, come rappresentanti della nuova federazione mondiale di Free basket. Servirà un parere diverso da quello dei nuovi soloni a spicchi nel pomposo Italian Basketball summit al quale siamo stato invitati. Porteremo anche il logo del Freebasket. Pollice alzato per sole quattro dita, creatività al servizio della gente e in questo Nino Pellacani, eccellente giocatore quando non era impegnato a farci arrabbiare con i compari del fumetto, è sempre stato un maestro. Sabato 3, alle 11.30, e Domenica 4 giugno, alle 11, nello spazio Happy Art proprio il Nino dei Pellacani porterà le stelle del fumetto Martinello, Palumbo, Giardino e Suffritti, ma anche la scuola di origami del Renato Albonico, detto Cippe (lui si vendicava chiamandoci Gutenberg), veneziano che sapeva guidare una squadra di basket, anche quelle di alto livello a Milano o Bologna che fosse. Nello stesso spazio Willy the King insegnerà a dipingere con la bocca.

Ammetterete che per schivare i play off su catamarani da poveri, le concomitanze, gli autogol televisivi, con quelle voci narranti che difficilmente si riascoltano, abbiamo scelto bene, portandoci dietro il profumo di fiori sfatti uscito da quel primo quarto dell’Emporio Armani contro Capo d’Orlando: 10 punti, palloni persi in quantità industriale. Segnali terrificanti per una squadra favorita per vincere il suo ventottesimo scudetto, anche adesso, anche dopo quel peccaminoso esordio. Certo Capo d’Orlando, la bella squadra del Boscimano Di Carlo cresciuto bene a Caserta, ha fatto cose straordinarie, ma è nella faccia del peccato milanese che abbiamo letto le stesse cose che la gente di San Siro ha visto spesso mentre giocava l’Inter, ma anche il Milan che ora Galliani non va più a vedere, anche se quella esibizione della sua Olimpia amata fin dai tempi del Simmenthal magari gli farà pure dimenticare il Forum. Sarà un virus di città, eh no Assago sta fuori. Oh come è fuori vi direbbe il presidente di Lega Bianchi che nalla scialba premiazione dell’MVP di questa stagione il bresciano Landry si è trovato relegato in terza fila. Alto che basket sport diverso. No, si va oltre.

Comunque non è di play-off che vogliamo parlare in questa rubrica. Torneremo sull’argomento dopo ogni eliminazione. Per adesso siamo in fibrillazione per il light lunch, senza alcolici accidenti, che precederà il Summit per chi ha voglia di pensare basket, ah caro Parisini quanto ci manchi, quella era la sede giusta per ascoltarlo, perché un argomento da discutere potrebbe essere quello sull’ipocrisia. Come spiegare, altrimenti, certi silenzi delle società sui giocatori che tornano troppo tardi la notte, spesso ubriachi, quelli che rincasano, ma prima devono passare al pronto soccorso, quelli che con la faccia da schiaffi ti riportano sfasciata l’auto in uso e poi se ne vanno sorridenti con una nuova, pochi chilometri fatti, mentre il coro si organizza. Tutte balle, ha cambiato macchina perché quella vecchia non andava più. Nessun incidente.

Chi frequenta i peggiori bar del basket italiano sa che l’accusa ai giocatori per le notti brave sono da sempre argomento che stuzzica fantasie. Si inventa. Anche sui calciatori, sia chiaro. Ma in certi casi se li vedi di persona non possono dirti che era la controfigura. Ora una Lega compatta metterebbe alla berlina questi mercenari. Che se li tengano i loro agenti e che tutti quelli che vorrebbero ingaggiarli, che li stuzzicano irregolarmente durante la stagione, sappiano con chi hanno a che fare. Al mercenario non chiedere le solite balle sulla maglia da onorare, ma almeno un comportamento professionale e se non lo tiene che lo si dica, senza nascondere niente, senza perdonargli nulla. Vero che molte volte lo si fa per sbarazzarsi di un pluriennale firmato incautamente, ma anche questo è un inganno verso le consociate e non è meno grave se lo vengono a prendere dall’estero.

Al Parco della Resistenza ci siamo anche fermati per brindare come si deve a Mario De Sisti che ci ha lasciato il giorno in cui la sua Spal e Ferrara festeggiavano una sconfitta promozione. Che vita con questo funambolo dell’esistenza che amava tutto a dismisura, un dottor Stranamore prima ancora di Alberto Bucci, un quasi coetaneo a cui ci legava il ricordo dell’esperienza milanista del padre come preparatore atletico, compagno di stanza a Cortina dove Giancarlo Primo, con Carlo Cerioni, aveva radunato il meglio del basket giovanile femminile. Lui, prima di viaggiare al massimo livello in tante società storiche maschili, da Udine a Roma, da Venezia a Treviso, era stato il guro della Ferrara femminile di Umbertina Pareschi che non ha mai saputo dirci dove le avevano rubato la nostra cinquecento blu incautamente prestata.

Cortina come spartiacque esistenziale. Lui stava per imbarcarsi nel grande basket, noi che pure avevamo un contratto per essere assistenti del visionario Luisito Trevisan al Geas, dove lo presero anche se Primo lo guardava in cagnesco per la buona idea di pretendere un pallone più piccolo, stavamo planando dalle Tofane verso la Gazzetta dello Sport, anche se con il veto di scrivere sul basket che pure ci aveva aperto la porta dopo il pestaggio dei giocatori Fiamma al caro e mai dimenticato Silvio Trevisani che prima di essere giornalista era stato arbitro, non soltanto nel Pavoniano.

Ma torniamo a De Sisti che non si offendeva se qualche suo giocatore lo chiamava “ busia”, come faceva Rovati nel raduno sui monti di Vasco: “Loro non capiscono, diceva, certe bugie servono a migliorare l’autostima, sono funzionali al rendimento”. Magari se lo ricordassero tutti. Cominciando dal Repesa che non avendo creato gerarchie, per dare una possibilità a tutti, per insegnare a molti, ora si trova nelle mani di chi ha capito benissimo cosa ha voluto dire la presidenza alla televisione di San Marino, concetti ripresi poi dalla Gazza in su, quando ha fatto capire che sul futuro tecnico, per allenatore e panchina, si ragionerà alla fine valutando la dolorosa esperienza di eurolega. Servirebbero bugie e non verità. Ma dal giorno in cui Gelsomino le disse, certe verita, dopo Torino, tutto è andato per il verso sbagliato: epurazioni, infortuni, controprestazioni come gara uno.

Sembra proprio che dietro la panchina di Milano ci sia il Carasso anima grande del basket riminese che nei tornei calcistici per i bancari cittadini si metteva alle spalle della rete degli avversari tormentando il portiere: “La fai la capelina, oh se la fai”. Quando accaddeva la vittima lo inseguiva oltre il ponte di Tiberio e la Chiesa dei Servi dove spesso incontravi, come a Siena, giornalisti in pellegrinaggio. Su quelle storie, nelle lunghe notti dei tornei estivi, aspettando bomboloni freschi sulla spiaggia, Mario De Sisti costruiva mondi immaginari per tutti noi. Erano albe meravigliose. Con lui si stava proprio bene, bastava la voglia di ascoltare e una scorta giusta di sigarette per fargli sfogare la tensione. Sì, era impegnato sempre, magro come un acciuga. Anche quando raccontava barzellette.

Giusto che il basket lo abbia onorato con un minuto di silenzio. Era del 1941. Ferrara era il suo palazzo Diamanti, ma tutti lo ricorderanno, magari con più affetto chi è stato promosso grazie al suo lavoro come Treviso, Sassari, ma anche per la Korac vinta a Roma, per le invenzioni a Udine nell’esordio maschile, era il 1975. Gorizia, Trieste, Torino, Livorno, Napoli, Venezia, Rovereto, Porto Torres, Nyon, la nazionale svizzera, quella Centroafricana, l’Uruguay, l’Italia under 18. Che viaggio, caro Mario. Non ci si frequentava da tempo. Ma come cantavamo a Cortina, belli come lui le mamme non ne fanno più.

Non ci sono pagelle al parco della Resistenza, ma se proprio ci tenete daremmo tre volti soltanto.

10 A Capo d’Orlando, Sindoni manager dell’anno, Di Carlo, Milenko Tepic comunque vada a finire la sfida contro Milano perché non sempre Davide ha i sassi fino alla sfida decisiva.

0 All’Emporio Armani, tutti, nessuno escluso, per quel primo quarto da 10 punti che resterà come un marchio qualsiasi possa essere il verdetto finale per chi aveva già fatto tanta fatica a vincere la Coppa Italia, ma si pensava che stessero cercando la dimensione eroica cercando l’affetto di chi spesso li guarda, non li capisce, li anestetizza. Le belle gioie hanno bisogno di affetto. Subito dopo buoni assegni, sia chiaro.

SOTTOZERO: al Comune di Assago, campo di Milano, al Forum che Armani farebbe bene a comperare, perché non esiste vigilanza. Parcheggi ad minchiam. Doppie file. Ingorghi assurdi con il traffico serale e anche giornaliero. Vergognoso.

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