L’esonero di Djokovic

5 Maggio 2017 di Stefano Olivari

Novak Djokovic sembra in caduta libera. Non in classifica, visto che è sempre numero 2 del mondo e fisicamente non pare avere problemi, ma come atteggiamento verso il tennis. Ha infatti lasciato il suo allenatore storico Marian Vajda e tutto lo staff con cui è arrivato ad essere il numero 1 del mondo e a vincere tutti i tornei dello Slam, dal preparatore atletico Gebhard Gritsch al fisioterapista Miljan Amanovic. Decisione maturata dopo il torneo di Montecarlo e resa pubblica dallo stesso Djokovic sul suo profilo Twitter e sul suo sito.

Djokovic non è certo un giocatore in declino: non ha ancora compiuto 30 anni (accadrà il 22 maggio), ha vinto e guadagnato l’impossibile ed è appunto numero 2 del mondo, non 200. Di sicuro dopo il Roland Garros vinto l’anno scorso qualcosa si è rotto nella sua testa, senza voler entrare nel privato (che poi si è aggiustato, pare). Fisicamente c’è ancora, ma è la concentrazione all’interno dei match che non è più quella di un anno fa: si vede il Djokovic assatanato per massimo un’ora, con i punti decisivi che adesso sembrano importargli meno di un tempo. Sensazione che abbiamo avuto anche a Montecarlo, quando dopo due faticose vittorie con Simon e Carreno Busta ha perso con Goffin lasciando al suo avversario quelle situazioni da braccio di ferro che il vero Djokovic di solito piegava a suo favore. Le motivazioni sono diminuite, indubbiamente. In questo senso, ma solo in questo senso, l’interruzione del rapporto con Boris Becker, che poteva dirgli qualche parola da pari a pari (non certo allenarlo, anche perché l’operazione era nata come marketing, con Vajda infatti sempre in scena) è stata dannosa.

Djokovic ha riservato bellissime parole a Vajda, Gritsch e Amanovic (invitiamo ad andare sul sito per leggerle), insieme a lui per un decennio incredibile pieno di periodi in cui il serbo è sembrato ingiocabile. Persone che sono state la sua famiglia più della sua famiglia propriamente detta. Ha spiegato che loro sono stati alla base dei suoi successi, ma che adesso tutti si rendono conto che bisogna cambiare se si vuole andare avanti e così via. La decisione è in realtà unilaterale, evidenziando il paradosso di certi rapporti nel mondo del tennis: uno dovrebbe ubbidire (o almeno seguire i consigli di) un proprio dipendente, ma la cosa alla lunga non funziona. I tre collaboratori-amici-fratelli hanno ufficialmente avuto parole di comprensione per un Djokovic che da troppo tempo non era più lui, con il tennis diventato per sua stessa ammissione non più una priorità. Secondo tutti e tre Novak ha le possibilità di tornare quello di prima e anche di più. Forse esagerano, ma sicuramente nella situazione attuale può vincere altri Slam oltre ai 12 già in bacheca (più 30 Masters 1000, come lui nessuno, e tutto il resto).

Ripartire, ma con chi? Al momento il fenomeno serbo è senza coach e non sembra avere fretta di trovarne uno, anche se nel mondo del tennis il coach viene spesso investito di funzioni magiche che evidentemente non ha, così come lo staff che spesso (non nel caso di Djokovic) è soltanto un clan in cui tutti fanno a gara nel dare ragione al boss. Ad esempio il box di Agassi, prima di sposare la Graf, era pieno di questo tipo di figure: amici, consulenti, motivatori, guide spirituali: basta poterseli permettere, loro e i loro spostamenti.

Insomma, se Djokovic non ricomincerà a pensare al tennis 24 ore al giorno nessun coach potrà farlo tornare quello di prima anche se, lo ripetiamo, dal punto di vista fisico e tennistico Djokovic è quasi lo stesso di prima a dispetto dei risultati del 2017. Ma esserlo per qualche game ogni tanto non basta, nel tennis maschile non si può essere al 90% e vincere come nell’orrido femminile. La soluzione giusta non esiste: c’è chi, come Federer, ha cambiato spesso allenatori e consulenti perché di fatto si allena da solo, e chi come Nadal ha un legame fortissimo con lo zio Toni, senza risalire a McEnroe con chiunque e Borg-Bergelin.

Così, genericamente, chi ha più talento naturale dà meno importanza al coach e quindi ne cambia tanti (o non ne ha di fissi al seguito, come per gran parte della carriera è stato per Mac). Chi nei suoi successi ha una percentuale di ‘costruzione’ maggiore rimane forse più legato a chi lo ha portato in alto. Chi di talento ne ha pochissimo, invece, assegna al coach poteri mistici e come Federer ne cambia quindi diversi, anche se per altri motivi.

È ovviamente una generalizzazione, che non tiene conto di ciò che davvero accade dentro le persone. Già, cosa sta accadendo dentro Djokovic? A prima vista sembra un cambiamento fatto tanto per cambiare, senza un’idea della direzione verso cui andare. A meno che la direzione non sia quella di Pepe Imaz, l’allenatore-filosofo spagnolo con il quale è sempre in contatto. Ci viene in mente Jim Courier quando, ancora sulla carta supercompetitivo, ai cambi campo leggeva libri e bigliettini motivazionali. Djokovic è un po’ più forte, magari ce la farà da solo.

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