Taglialatela e la naturalezza del tifo contro la Juventus

31 Marzo 2017 di Stefano Olivari

Il Taglialatela più famoso d’Italia non è più il grande Pino ‘Batman’, bensì Marcello, fino a qualche giorno fa deputato napoletano di Fratelli d’Italia sconosciuto anche ai cronisti parlamentari, figuriamoci al resto del paese. È un membro della commissione antimafia e forse nella sua vita ha fatto scoperte scientifiche sensazionali (pare di no, comunque), ma nei titoli dei media c’è entrato per il suo essere tifoso del Napoli e anti-Juventus. La cosa più banale che ci viene in mente è che un anti-juventino dichiarato (ma sono peggio quelli non dichiarati, ovviamente) non possa indagare sulla Juventus, per la nota vicenda della ‘ndrangheta che controlla la curva bianconera e condiziona il club di Agnelli in materia di biglietti e piccoli favori. Oltre che Andrea Agnelli stesso, ben consapevole della natura dei suoi (o dei suoi sottoposti, ma il presidente è lui) interlocutori. Questa incompatibilità non si può stabilire per legge, altrimenti un magistrato vegano non potrebbe giudicare un imputato carnivoro e uno di sinistra un altro di destra (e viceversa), dovrebbe stare all’intelligenza dei singoli tirarsi indietro. Taglialatela avrà questa intelligenza?

L’onorevole ultras ha però avuto il merito di ricordarci la base del successo del calcio, nel mondo ipocrita del ‘tifiamo per le squadre italiane’, cioè che non ti importa soltanto del bene della tua squadra e dei tuoi giocatori, ma anche del male degli altri. Come ha ben detto Selvaggia Lucarelli parlando di Gloria, dell’ultima edizione di Masterchef: “L’unica cosa che le dà più soddisfazione di un suo grande risotto è un risotto di merda degli avversari”. In altri sport di squadra ci sono meccanismi simili, ma con antipatie più localistiche, ad esempio Milano-Cantù nella pallacanestro, che filosofiche e antropologiche. E comunque con numeri clamorosamente diversi. Per le città con un solo grande club  (Firenze, Napoli) l’anti-juventinismo è quasi scontato, visto che la Juventus è la seconda squadra più tifata, mentre meno netto è il discorso su Inter e Milan. Squadre ‘nazionali’, anche se molto meno dei bianconeri, ma anche milanesi molto più di quanto la Juventus sia torinese. L’anti-juventinismo dell’interista di Bologna o del milanista di Verona è quindi simile a quello del fiorentino o del napoletano, un qualcosa di naturale fin dall’infanzia. Non è la stessa cosa per il milanese o il romano, che è cresciuto detestando l’altra squadra di Milano o di Roma, favorito anche dal fatto che lo juventino di qualche anno fa a Milano o Roma era di solito un moderato, poco interessato al calcio e di sicuro poco numeroso nelle due città.

Insomma, il dominio della Juventus di Trapattoni, squadra che in un calcio autarchico (prima con zero stranieri e poi con al massimo due) schierava gran parte della Nazionale e faceva notizia solo quando perdeva, non ci disturbava: Verza e Carotti erano avversari molto più di quanto lo fossero Platini e Tardelli. In un’Italia, va ricordato, dove il potere degli Agnelli era in proporzione molto maggiore rispetto a quello di oggi, con un’informazione ancora più ridicola e senza il web. Cosa è cambiato, quindi, a parità di dominio? Come sempre diciamo no alla finta equidistanza e al modello del tifoso-eunuco (chi dice ‘Io tifo per l’Arsenal e in generale per il bel giuoco’ è molto più lontano da noi rispetto allo juventino ‘Guido Rossi-Fino alla fine-Conta solo vincere’) e azzardiamo una nostra personale risposta: del calcio come sport puro importa e ci importa quasi zero, per una serie di motivi legati all’età (per noi) e all’offerta di tipo bulimico (per i più giovani) a disposizione che rende tutto meno interessante e legato alla propria identità. Se siamo sempre pronti ad applaudire Dybala, fuori dal campo non accettiamo più le porcate ‘perbene’ di un potere che non ha nemmeno la pseudo-giustificazione sociale di una volta. In altre parole vorremmo più Chiellini, arriviamo a dire anche più Rizzoli, e meno Giraudo.

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