Maldive senza lapidazione

13 Febbraio 2017 di Paolo Sacchi

Nel bel mezzo di una spiaggia bianca due pali di legno sorreggono un’amaca. Per quanto il vento smuova la tela fino a farne ricordare una porta calcistica, difficile associare il football a quel contesto. Il paesaggio delle Maldive è una visione che vale ogni singolo minuto delle tante ore trascorse a bordo di un aereo per giungere fin lì. Sole, mare e barriera corallina: il calcio non è di sicuro il primo pensiero che potrebbe venire in mente a chi, prima dall’alto e poi dal basso, osserva i puntini di sabbia circondati nell’ordine dall’azzurro delle lagune e dal blu dell’Oceano Indiano. Invece no: nei luoghi un tempo tra i più remoti del pianeta è probabile trovare un campo da gioco. Nel centro di ogni isoletta, nascosti dai bungalow sulla spiaggia in cui trascorrono le vacanze i turisti, c’è quasi sempre uno spiazzo – se non un campetto – in cui lo staff locale, nelle ore in cui non è in servizio, prende a calci un pallone. Come si riesca a giocare sotto il sole cocente con addosso divise in materiali sintetici è un mistero ma non è il caso di fare troppa ironia: le Maldive, in Asia, sono un Paese calcisticamente rispettato. La repubblica insulare conta una popolazione di trecentocinquantamila abitanti e nel girone di qualificazione mondiale era inserita nello stesso girone della Cina, in una surreale sfida di quelle che piacciono tanto ai vertici delle federazioni calcistiche mondiali. Aggiungere che alla fase successiva sono passati gli avversari – insieme al Qatar – potrebbe apparire scontato: invece non lo è, visto che tra le due nazioni nel ranking AFC c’è l’identica distanza tra la Polonia e la Grecia in quello europeo.

La nazionale gioca a Malé, capitale di solito saltata a piedi pari dai turisti che puntano direttamente ai resort situati in atolli raggiungibili in idrovolante o barca. Ignorare la città è però tutto sommato un peccato. Si tratta di un luogo davvero curioso, per molti versi unico nel suo genere. L’aeroporto è la prima chicca, strutturato su una striscia di sabbia interamente occupata dalla pista. Decine di dhoni – i vaporetti in salsa maldiviana – collegano l’aerostazione all’isolotto della capitale. Qui centomila persone – un terzo dell’intera popolazione dell’arcipelago – vivono in un fazzoletto di terra a forma di rettangolo di un paio di chilometri per lato, tanto che con una passeggiata a piedi si può attraversare l’intera città-isola. Malé offre un’irreale spaccato di una micro metropoli asiatica: è completamente occupata da costruzioni, con vie che si intersecano tra palazzi, negozi, edifici pubblici, moschee, scuole e università, locali e bar (niente alcolici, per ovvie ragioni) e residenze delle famiglie ricche e potenti che hanno in mano l’economia del Paese. E poi il traffico: senza un apparente motivo decine di moto e auto sono utilizzate per gli spostamenti. Chissà non sia il mostrarsi alla guida di un’automobile la vera motivazione per possederne una.

Di sicuro chi va alla partita di calcio – o di cricket, secondo sport più seguito nel Paese – meglio lasci a casa il proprio mezzo di trasporto, vista la carenza di parcheggi. Il Rasmee Dhandu, traducibile dalla lingua dhivehi in “stadio nazionale” si trova in uno dei pochi spazi verdi – in erba artificiale – non occupati da edifici. Può ospitare poco meno di dodicimila spettatori, con tribuna coperta e non certo per la pioggia. Più gradevole di molti impianti che frequentiamo a casa nostra, è la sede delle partite della nazionale e del campionato locale, disputato da otto compagini. Fino a qualche anno fa prevedeva una serie eliminatoria che includeva le squadre dei vari atolli che superavano i turni fino ad un girone finale. Per ragioni di costi la formula è stata cambiata e limitata. Due sono le squadre che si qualificano alla Coppa AFC, una sorta di Europa League d’Asia. Quest’anno sono qualificati di diritto alla fase a gironi i campioni in carica del Maziya, che potrebbero essere raggiunti dal Club Valencia: tutto dipenderà dallo spareggio con gli indiani del Mohun Bagan di Calcutta, conquistato in settimana dopo aver eliminato il Trimphu City con pareggio in Buthan e un netto successo casalingo. Non sarà facile superare il turno, come non è facile il lavoro di selezionatore della nazionale.

Un compito difficile e a tempo determinato, in senso letterale: nonostante l’incoraggiante 145esimo posto nel ranking Fifa – per quanto sia attendibile: le Maldive sarebbero trentotto posizioni avanti Malta – in sette si sono alternati sulla panchina negli ultimi quattro anni. In carica ora c’è un australiano, Darren Steward, noto in Oriente per aver giocato e allenato anche a Singapore e in Malesia. Con il ritiro dal calcio internazionale di Ali Ashfaq, cannoniere assoluto con 401 reti in carriera, per il nuovo Ct la strada da percorrere è tutta in salita. Individuare elementi interessanti da un torneo nazionale così poco competitivo è da sempre impresa piuttosto ardua. Nel 1964 fece scalpore – eufemismo – la “proposta” dell’allora presidente della lega: per far crescere il livello e stimolare le formazioni partecipanti arrivò a mettere ai voti l’introduzione di una nuova regola. Tenetevi forte: i giocatori della formazione che si sarebbe eventualmente classificata ultima per due anni di fila sarebbero stati uccisi per lapidazione. Per quanto possa sembrare inutile sottolinearlo, i club rifiutarono all’unanimità. Il fautore dell’idea disse a posteriori che si trattava di una provocazione, una sorta di stimolo per motivare gli atleti a migliorare le proprie prestazioni. A pensarci bene, se mezzo secolo dopo alle Maldive il calcio è lo sport più amato, è anche grazie all’esito di quella votazione.

Paolo Sacchi, da Malé

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