Senza Misericordia

12 Dicembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni all’approdo veneziano davanti alla Scuola grande di Santa Maria della Misericordia, ex scuola per la confraternita dei Battuti che mi ha scelto come emblema, ma, soprattutto ex palestra, regno della vera e grandissima Reyer. Nel giorno in cui l’Emporio Armani viene svuotato della sua anima fragile, perdendo la prima partita in campionato, sentiamo arrivare dalle vecchie tribune al primo piano, il coro che era della Reyer ai tempi di Rico Garbosi, ma anche di Tonino Zorzi, Lelli e Ligabue: ‘Per i deboli implora pietà, per i miseri implora perdono’.

Lo avevamo già ascoltato nel bel documentario che divenne colonna sonora per un raduno dei Maturi Baskettari quando Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, padrone di questa Reyer, aveva riaperto la “Misericordia” e ridato vita, spendendo 11 milioni di euro, ad un tempio del basket, restaurando la porta di legno del Sansovino, facendo rivivere la storia dei tanti campioni. Tipo gli immensi Steve Hawes o Dalipagic che quando entravano in quell’arena sembravano spaventati, avevano paura di rovinare gli affreschi. L’americano, soprattutto, anche se all’inizio non sapeva, non immaginava e venne bloccato in tempo quando stava per scaldarsi palleggiando sui nobili muri della Scuola che fu aperta nel 500 dal doge Nicolo Da Ponte.

Magari un progenitore del De Ponti del Corriere che avrà certo aggiunto una tacca alla sua penna cercando i punti deboli di Gelsomino Repesa che, al momento, rischia di diventare indifendibile, perché se una squadra perde la ragione, la sua anima, tutti devono sentirsi responsabili, dal presidente a chi la guida sul campo, da chi vede le partite ascoltando i ser Biss del sistema, quelli che odiano per interposta persona e vorrebbero che tutto cambiasse perché nulla, gattopardescamente, cambi davvero e lo stipendio sia salvo. Il regno della squadra più ricca del reame è invaso dagli stessi che potrebbero stare bene nel nuovo libro di Vittorio Sgarbi, Dall’ombra alla luce, o viceversa aggiungeremmo noi, perché si ricade troppo spesso negli stessi errori.

Una squadra sportiva sarà anche azienda, ma i giocatori, anche i figli di mignotta, quelli che seppure ben pagati sbevazzano sulle loro fortune, hanno bisogno di sentire lo scappellotto paterno, le sgridate della famiglia, ma non dell’azienda, come se fossero soltanto impiegati part time. Vero che il professionismo sportivo, adesso che è in mano a specialisti chiamati agenti, assomiglia tanto a quello interinale, oggi qui, domani là, ma resta la componente umana e c’è necessità di un linguaggio comprensibile. Un modo di stare insieme che impari respirando l’aria degli spogliatoi, ascoltando le voci, guardando negli occhi la gente, senza bisogno di investigatori per sapere chi fa dolce vita, chi alza troppo il gomito, chi è così fesso e così bullo da scappare da un ritiro, da un albergo, per fare la notte brava. Succede da tutte le parti, persino in Nazionale. Chiedete a Messina, a Petrucci per i giorni neri di Torino, ma ancora prima a quelli che stavano a Trieste, chiedete all’Inter, al Milan, a tutti. Peccati ispirati dalla mala educazione, dalla tracotanza tipica del giovane che pensa di essere eterno, di chi ,per fare sempre più soldi, accetta tutto, anche quello che gli fa perdere il senso della misura isolandolo in un privato della discoteca famosa, circondato dalla corte, pagando per tutti. Macchine sfasciate, clan invece di amici, omertà, su tutto, anche sui difetti del soggetto che invece di fare progressi perde di vista la realtà. Senza queste conoscenze del vissuto nel sudore, fra gioie e dolori, si faranno sempre errori e se poi i consigliori sono dei mestatori di professione, gente che ama il ricatto, soprattutto psicologico, allora capita di vedere uno squadrone diventare una squadra appena superiore alle altre perché ha più uomini e mezzi, ma ben lontana da quella sognata.

Siamo sulle rive veneziane vedendo passare Alberto Vitucci, un collega bravissimo della Nuova Tribuna, fratello del Frank che adesso cerca di alimentare al meglio la passione di Torino per il basket, chiedendogli di portare a Walter De Raffaele i complimenti, non tanto perché è stato il primo a battere l’Emporio Armani in questa stagione, ma per aver superato l’acqua alta quando i sapientoni andavano in giro a dire che era troppo presuntuoso, un livornese di scoglio, uno che era convinto di sapere tutto. Non avevano capito che il livornese dalle lenti affumicate azzurrognole, uno dei sofferenti per quello scudetto lasciato a Milano nel 1989 per un canestro fuori tempo ed un giocatore con 5 falli in campo, stava mandando messaggi precisi ai tifosi, ai parenti, agli agenti, a se stesso, ai brontoloni per natura, a chi pensa sempre di saperne una più del diavolo allenatore.

Dovrebbe farlo anche Repesa adesso che questo Emporio sembra così distante dalla Priamide che a inizio stagione gli faceva sorridere anche le ultime rughe, quando ammetteva che avrebbe tenuto volentieri uno come Melli e che avrebbe saputo aspettare Alessandro Gentile perché era convinto che avrebbe capito, digerito e sarebbe stato meno guascone, senza nascondersi dietro quella frase inquietante detta all’Angiolini dopo essere stato degradato da capitano: “Io vado avanti per la mia strada, cercando di progredire ogni giorno”. Già. Ecco dove è arrivato, sospeso fra il gelo di Kazan, le chele di Langford , i pettegolezzi di chi vede sempre oltre i muri, di chi finge di non poter dire ma intanto fa capire. No, la vita degli Alessandro Gentile, di tutti i talenti sportivi, beati loro, deve svilupparsi sul campo, nello spogliatoi, mai altrove. La verità te la dicono gli occhi dei tuoi compagni, non i ruffiani, quelli che perso un amico famoso se ne trovano presto un altro. È la natura di chi fa questa professione a servizio. Nati per dire sempre di sì. Siamo in tempi difficili perché non esiste allenatore, dalle giovanili al vertice, che non abbia incontrato chi gli rinfaccia di trattare in maniera non adeguata certi giocatori che sono ometti, ma pensano di essere uomini.

Speriamo che il Vitucci giornalista, un tempo compagno di inchieste anche con Lorenzo Sani, per lo scandalo del Mose, per le truffe in Laguna, porti questo messaggio all’uomo del momento in casa Reyer dove, non credete, hanno avuto e hanno ancora problemi perché non è tutto vero quello che si vede anche se i contestati di ieri sono stati i migliori per battere Milano, questa Milano. Si sbaglia spesso nelle prospettive e possiamo capire il disagio dei giocatori che leggono di essere sotto esame, sotto taglio. Come diceva il secondo Padrino al fratellastro Tom dopo essere sfuggito ad un attentato: “ I nostri uomini, Rocco, gli altri, non stanno qui per affetto, ma soltanto perché li paghiamo meglio..”.

Ora prevalgono anche i pregiudizi e dobbiamo confessare che il modo sincopato di portare avanti la palla del Kalnietis che si allena bene, che soffre, che suda, ci dà l’impressione del vero status di Milano. Alcuni, certo più competenti di noi, lo hanno considerato fra i meno peggio nella tana mestrina del Taliercio, ma a noi quel ballonzolare come i vaporetti in Laguna davano il mal di mare, come tante cose in una squadra che, come dice Repesa, è sicuramente in crisi. Non ci vuole un genio a capirlo. Vero. Ma resta pur sempre davanti a tutti. Certo non può sbagliare venerdì prossimo ad Istanbul contro il Galatasaray di Ergin Ataman che non va benissimo, in una città dove qualche straniero è pronto a scappare dopo gli ultimi attentati. Quello sarà il bivio fra ombre e luci.

Perché enfatizzare così tanto la prima sconfitta di Milano? Cosa si dovrebbe dire degli altri, di chi, come Reggio Emilia perde la cadenza e invece di avvicinarsi al vertice lascia un approdo di speranza al Moretti? Che sembrava solo, lui e Coldebella per la verità, in mezzo allo scirocco dell’insoddisfazione in una città che sa di cosa parla quando pensa pallacanestro. Avete ragione, ma forse prevale la rabbia perché eravamo sicuri che Milano fosse stata costruita bene, certo con problemi al centro, forte per entrare nelle otto grandi d’Europa, da ritoccare casomai in corsa, ma senza soffrire. Invece è accaduto il contrario. Ogni aggiustamento un buco in più nello scafo. C’è delusione perché sembra che persino Repesa non ne possa più, come gli accadde ai tempi romani. Certo il fuoco amico è il più pericoloso, ma non vediamo libero un allenatore che possa raddrizzare la situazione: sì, ci sarebbe Recalcati, uomo di talento per tutte le stagioni, ma il problema è di fondo e non lo si risolve se prima non ci si dice la verità in società.

Voi dite che ci sarebbe stato da cantare il meglio, tipo i 18 assist record di Luca Vitali, evitando di prendersela ancora con tipi come Crosariol, 1 punto, Ceron 0 su 3, o altri che avevamo trattato bene nelle pagelle passate, ci sarebbe da prendere in considerazione la slavina di Trento dove Buscaglia è costretto a riflettere, guardando la solita bacchetta magica del lavoro in serenità, che ora sembra non bastare con giocatori, soprattutto stranieri o al di sotto della qualità media o, comprendendo anche gli italiani, sopravvalutati. Certo potevamo farlo, magari partendo dalla stagione entusiasmante dei Razzi di D’Antoni che vanno forte, ma poi avrebbero detto che si scavava nella piaga perché a Houston non hanno preso Gentile. Nell’incertezza andiamo con le pagelle.

10 A Gianni PETRUCCI il presidente federale che ha deciso di eleggere motu proprio Oscar Bezerra Schmidt nel Pantheon del basket italiano da lui onorato fra Caserta e Pavia. Certo prima ha voluto interpellare la commissione per gli eleggibili nella casa della gloria italiana, casa che purtroppo non c’è ancora, voto 4 al numero uno federale e al suo consiglio uscente, quelli che, ultimamente, hanno aperto una porta per la casa fra le nuvole, a Gilardi, Sacchetti e Cosmelli. Bella scelta anche se il presidente della commissione non dimenticherà mai il mondiale in Argentina, il biscotto fra Brasile e Australia, quella sera in albergo quando Zorzi affrontò a muso duro il suo amatissimo Oscar. La cerimonia avverrà nei prossimi giorni quando il re del triple sarà ospite della sua casa famiglia a Caserta.

9 A Gianni Corsolini che mantiene freschezza mentale, ironia nei suoi pezzi per la Provincia di Como ed è stato bellissimo quello nel ricordo della Carla, la moglie di Marino Bartoletti scomparsa tragicamente nei giorni scorsi. Amore nato nel basket per questa coppia di forlivesi d’assalto, una bella storia purtroppo finita nel dolore.

8 A Nicolò MELLI perché essere MVP settimanale in Eurolega è come prendere i gradi di capitano. Sta facendo davvero tanti progressi e ci sembra anche molto maturato come uomo, perché nell’intervista al Corriere con il quasi concittandino Pedrazzi, ha saputo dire tante verità nascondendo il veleno che pure era autorizzato a versare nella minestra di chi non lo aveva trattenuto a Milano.

7 A Luca VITALI, ma anche a suo fratello MICHELE, per la bella stagione che stanno facendo a Brescia, seguito di quella bellissima a Cremona purtroppo affondata domenica, sapendo che accarezzare troppo il genietto della lampada bolognese potrebbe farlo deragliare come tante altre volte. Di sicuro se Messina gli troverà almeno un cromosoma per la sua difesa non potrà farne a meno. In Italia non abbiamo registi di questo livello, mannaggia a lui e a noi che lo scriviamo.

6 Al TONUT della Reyer perché in sofferenza fisica ha fatto una partita matura contro Milano nella giornata dove Haynes, ma soprattutto Hagins sono stati principi elettori per la prestazione sontuosa di McGee.

5 A CAPO d’ORLANDO perché ci farà litigare con tanta gente che non riesce a capire come possa giocare così bene, essere così in alto in classifica, una società di un posto incantevole, ma piccolissimo. A noi piace così. Bravi loro e, se per caso, Basile volesse smettere di fare il pescatore, sai che cinema Paradiso.

4 A Max MENETTI che accetta di portare una croce affidatagli dallo stesso basket italiano che gli ha negato riconoscimenti importanti (doveva essere nello staff azzurro), che spesso lo guarda con sufficienza, dalla stessa società che fa cose stupende allevando giovani talenti, ma che era obbligata a trovare rinforzi stranieri di maggiore qualità, soprattutto per sostenere Cervi al centro. Noi ci ribelleremmo e lo faremmo adesso che tornano a criticare i sapientoni di sempre.

3 Al GIUDICE FEDERALE, inteso come figura ad ogni livello anche se magari sono diversi per campionati, che fa bene a castigare l’inciviltà, il cattivo funzionamento delle attrezzature, ma in molti casi, soprattutto in A2 o nella Femminile, certe multe sembrano davvero sproporzionate ai bilanci e agli incassi. Succede anche nelle minori, per le giovanili. Un taglieggiamento che rovina il rapporto base vertice. Un errore.

2 A REPESA che si trova in piena crisi, nella baraonda generale. Lui sembra sfinito da una battaglia con ombre che sfuggono, non entrare fra le otto d’Europa sarebbe un fallimento perché scudetto e Coppa glieli hanno già assegnati gli avversari senza avere i mezzi per contrastarlo.

1 Al Matteo BONETTI di Brescia se non troverà una risposta adeguata e testimoniata alle accuse di Aldo VANOLI amareggiato per aver visto un importante dirigente avversario aizzare la folla anche sul più 30. Ora Vanoli ha ragione, ma prima di tutto, non aizzi i soliti noti che vorrebbero la testa dell’onesto Pancotto che si è messo in discussione da solo, senza aspettare il becerume.

1 Ai MIASMI provocati dal divorzio fra Emporio Armani e Alessandro Gentile perché su questo detto e non detto, sulla frase del presidente “lo sappiamo io e lui” ci giocano in troppi e, al momento, la cosa più importante è far capire al giocatore che si risale in fretta se le idee sono chiare e la voglia di lavorare prevale su tutto il resto. I difensori d’ufficio, i compagni pietosi, questo esercito della salvezza mai invocato farà soltanto danni.

Share this article