Eutanasia a Galata

17 Dicembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni in una pausa pranzo fra le comparse di Fuga da Reuma park, l’ultimo film di Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti. Allegria anche dovendo sfuggire all’infermiera kapo Fallisi che andrebbe sempre stesa con una testata come fece il perfido Aldo in “Chiedimi se sono felice”. Restare nel cuore del trio per dimenticare l’eutanasia dell’Emporio Armani sotto la torre di Galata, in casa di Ergin Ataman che alla fine non sapeva più come ringraziare Repesa per aver portato all’Abdi Ipecki una squadra così depressa. C’è una bella differenza fra il divertimento che ci ha dato in 50 puntate il Depresso dell’edicola Fiore e questi depressi con maglia Armani. Da non credere. La chiamiamo eutanasia di amori mercenari perché tutto immaginavamo all’inizio di questa stagione meno questo autocanestro prolungato e sentire Jasko Gelsomino, alla fine, che si consola con la reazione dal meno 16, be’, ci dovrebbe esimere dal tentativo di una difesa che sembrava logica per un allenatore che ha una storia importante, che ha fatto cose interessanti dovunque ha lavorato.

Qui gli è scoppiata in faccia una mina, magari si chiama Gentile, magari sono i registi fasulli che ha scelto, forse la supponenza di poter galoppare in Europa con tanta debolezza al centro, di sicuro, adesso, la confusione mentale generale che gli fa tenere in panchina i Pascolo, gli Abass, i Fontecchio che dovevano essere il futuro della nuova Olimpia. È caduto nella trappola senza accorgersi che entrava in acque pericolose senza la protezione aerea della società, senza il sostegno di navi d’appoggio interne, con un pericoloso stato di depressione dell’equipaggio che saluta e abbraccia il campione perduto e mandato sulle orme del padre verso il Panathinaikos, ma diventa una truppa assente, sorda al richiamo quando è chiamata a dimostrare che ha dentro qualcosa, che aveva bisogno di chiarezza. No, questi hanno già scelto il colpevole davanti alla piazza e quando ci parlano di allenamenti duri si scontrano con i nemici di Repesa che raccontano in giro di lavoro senza intensità, tante parole, poco sudore. Chi lo dice? Provi ad immaginare.

La verità? Caro Repesa, questa conversione di un gruppo amante dell’attacco in una colonia di veri difensori può farle fare la fine del prete di Mission. Crocifisso e mandato fra le rapide del fiume eurolega. All’inizio, almeno, la libertà di essere attaccanti sfrontati, con il finto pentimento per le pigrizie difensive lo si accettava perché Milano andava sempre verso i 90, 100 punti. Ma adesso? E quelle rimesse da infarto? Certo ce ne eravamo già accorti di questa poca memoria per i giochi a palla ferma contro il Maccabi che si prepara al terzo allenatore e passerà alla storia per non aver tirato neppure un libero nella debacle di Belgrado. Pensavamo che fosse faticosa digestione. E no. Siamo a dicembre, siamo davanti all’euroburrone perché arrivare nelle otto adesso, anche rinforzandosi per il ritorno, è molto difficile. Vero che nessuna delle esploratrici di questa NBA europea è senza peccato: il Fener di Obradovic ondeggiante, il Real bastonato da Blatt a casa del Darussafaka che le aveva prese da Milano quando i sogni erano avallati dai risultati ed eravamo bombardati dalla prosopopea di chi pensa di aver inventato quello che c’è sempre stato, almeno in casa Olimpia. Quando c’erano i mezzi, ovviamente, non certo negli anni della gramigna, quelli dell’americano brillo che costava poco, quelli che obbligavano addirittura a sbagliare i tiri liberi per evitare di finire nel gorgo della retrocessione conosciuta, per una volta, quando ci fu la strage dell’Innocenti e l’Amarone Cinzano non bastò.

Milano da rifare, dentro. Depressa, inguardabile, finta. Quanti giocatori avete visto chiedere scusa mentre prendevano canestro dai tiratori oltre la linea? Una comica, una ipocrisia che dovrebbe tormentare cestofanti da mandare a letto senza cena. Altro che feste natalizie. Tutti al Neuro Park per sapere come arrivarono al Trussardi Aldo, Giovanni e Giacomo. Fu Enzino Lefebre, geniale sognatore, uno che non riusciva a vivere senza rischio, cercando l’anima degli altri e di se stesso, a tentare, ma questa volta con successo, certo era campionato non una partita difficile, quello che era andato maluccio, prima di finali scudetto a Gabetti quando portò uno dei Gatti del Vicolo Miracoli nell’albergo dove aspettava la finale una Olimpia di toreri con cicatrici vere come Meneghin, Premier, D’Antoni a cui non facciamo i complimenti per le 9 vittorie consecutive visto come ci ripagano quelli di cui parliamo bene. Tipo? Andate a leggere e il meno 40 di Venezia in Turchia lo accettiamo soltanto perché battere Milano, seppure questa Olimpia depressa, deve essere costato tanto.

Le pagelle dell’Emporio battuto dal Galatasaray che aveva fuori pezzi più importanti di Milano, perché Austin Daye è meglio di Cianciarini e di Macvan, che aveva una difesa di burro, che aveva tanti problemi e stava per restituire una partita dominata nei primi 20’.

Kalnietis 4: la stessa regia di Venezia dove lo avevano assolto. Non capisci dove vuole andare, dove vuole portare il gioco, ogni palleggio un batticuore e poi le palle perse, troppe, sei o sette come risultava a noi non conta.

Simon 5.5: certo che il suo finale, col sorpasso meriterebbe molto di più, ma il primo grande buco su Micov è stato suo e sappiamo come è andata con l’ex di Cantù mattatore della notte.

Dragic 5.5: ha dentro il fuoco dei giocatori che vivono per il basket d’assalto, sacrificarlo dove altri fingono vuol dire anche sprecarlo. Ogni tanto ha delle amnesie e sono gravi.

Sanders 5.5: non ci incantano i suoi tiri da fermo, ci irritano quelle rincorse senza senso all’avversario perduto per distrazione. Certo che è stato lui a rimettere le cose quasi in pari, ma è stato sempre lui a fallire un tiro che non serviva, quando sarebbe stato più utile cercare il canestro da vicino e il tempo ci sarebbe stato se non avesse girato la schiena all’avversario.

Raduljica 5: non si riesce ad avere una partita completa da questo motociclista che cerca orizzonti dove ci sono pareti. La stoppata presa da Tyus quando sarebbe stato decisivo segnare è la fotografia dell’uomo e del giocatore.

McLean 6: lui lo assolviamo anche se restiamo sempre perplessi davanti a questa poca resistenza aerobica.

Hickman 5: meglio di Kalnietis, ma non ci vuole molto. Quella palla rubatagli dal carneade Koksal, quegli errori, quelle finte difese sporcano i suoi discreti attacchi.

Cerella ng: certo se la salvezza è lui le cose non vanno proprio bene.

Repesa 4: ha utilizzato 8 giocatori. Quelli di cui si fida? Stiamo freschi. Squadra depressa e tener fuori da una stalla svuotata quelli che lo vorrebbero sul carrello dei bolliti anche lontano da Bologna ci fa stare male. Non doveva, non dovrebbe finire così. Lui ha visto una reazione. Accidenti, giocava in casa degli ultimi, con più infortunati di quelli che aveva lui. Il fuoco amico lo ha mandato in corto, questo lo si immaginava. Ora è anche circondato e non soltanto da chi esagera e ci parla di ladri di cavalli.

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