Quattro Words con F.R. David

3 Ottobre 2016 di Paolo Morati

F.R. David

Ci sono canzoni che appena partono con le prime note scavano nella memoria facendo scattare ricordi importanti anche se non le ascolti da tanti anni. Nel nostro caso, di inguaribili romantici, una di queste è Words, successone targato 1982 del francese F.R. David capace all’epoca di fare il giro del mondo, Italia compresa dove raggiunse la vetta delle classifiche. In questa intervista esclusiva Elli Robert Fitoussi, questo il suo vero nome, si racconta a Indiscreto, tra gli esordi con le prime band, le produzioni in America e la collaborazione con Vangelis. Fino a quel brano in cui all’inizio nessuno credeva.

Partiamo dalla tua storia. Sei nato in Tunisia… ci puoi raccontare qualcosa di più della tua famiglia?
La mia era una famiglia cordiale e felice, anche benestante fino all’indipendenza del Paese quando abbiamo dovuto lasciarlo e spostarci in Francia. Nel frattempo mio fratello e sorella portavano a casa i dischi di Elvis, i Platters, Bill Halley, Etta James, Little Richard...

Quando hai iniziato a suonare, qual era il tuo strumento di riferimento e il genere che prediligevi? Come sono nate le tue prime band?

Ho ricevuto la prima chitarra per aiutare mia sorella quando provava; di fatto aveva iniziato a cantare e registrato un primo singolo per poi fermarsi, visto che la mia famiglia non apprezzava e temeva gli effetti negativi che lo show business poteva avere su una giovane donna. Il rock & roll è stato invece il mio primo amore musicale. Ho cominciato con una band a scuola suonando con i miei migliori amici e le nostre prime chitarre elettriche le abbiamo acquistate con i soldi guadagnati a una corsa di cavalli. Fortunati, vero?

Laissez briller le soleil, è il titolo di una canzone pubblicata nel 1966 quando militavi in Les Boots, una band tipicamente beat. Il tema è quello dei rischi della guerra atomica…
Les Boots in effetti è stata la mia prima band professionistica e ne vado orgoglioso. Laisser briller le soleil (I still love it) è stata scritta con in mente l’immagine della Guerra Fredda e non avrei mai pensato che potesse essere ancora così attuale nel 2016.

A quel punto hai deciso di intraprendere la carriera solista. Quando e perché sei passato da Elli Robert Fitoussi a F.R. David?
Nelle band scolastiche suonavo la chitarra ritmica. Un giorno il cantante si è ammalato e l’ho sostituito. Da allora abbiamo tenuto parecchi concerti, alla condizione che fossi però io a cantare. Relativamente al nome, F.R. sta per Fitoussi Robert (le mie iniziali). David è stato invece semplicemente scelto perché aveva un bel suono. Quando i The Boots si sono separati mi è stato offerto di cantare da solo; ho registrato il mio primo brano Symphonie a Londra con i migliori musicisti da studio dell’epoca e ricordo di aver chiesto i loro autografi durante le varie sessioni in cui lavoravamo insieme. Per sei mesi la canzone fu trasmessa dieci volte al giorno dalle principali radio, ma io mi sentivo ancora come se appartenessi a un gruppo e non un solista. Invece volevo costruirmi una carriera da cantante francese, cercando quindi qualcosa d’altro.

In quel periodo, alla fine degli anni Sessanta, hai cominciato a cantare anche in italiano, con brani come Luisa Luisa, Calendario… com’è nata l’idea di proporti nel nostro Paese e qual è il tuo rapporto con l’Italia?
All’epoca alla maggior parte dei cantanti francesi veniva chiesto di registrare in italiano. In Tunisia invece la popolazione italiana era cinque volte tanto quella francese e abbiamo sempre avuto un legame particolare con la vostra cultura (Claudia Cardinale è nata là). Ho cominciato a esibirmi in Italia al club Mac 1 di Torino, un posto che non mi ha mai stancato per la buona acustica così come… le meravigliose ragazze che lo frequentavano. Trascorrevo le vacanze a Positano, Roma, Milano, Bologna, rimanendo attaccato alla cultura italiana e al suo modo di vivere. Da Domenico Modugno, Jimmy Fontana, Adriano Celentano, Patty Pravo (ho scritto per lei) a Pavarotti e Bocelli, da sempre sono rimasto in contatto con quanto accade in Italia.

Alla fine degli anni Sessanta e nei Settanta hai nel contempo militato anche in altri gruppi, come bassista e cantante, spaziando su più generi e iniziando a cantare anche in inglese… mi vengono in mente canzoni come Just because e Something to Hide registrate con i King of Hearts o quelle con Les Variations. Con anche una lunga permanenza in America. Da lì non hai più smesso di cantare in inglese. Perché questa scelta e quali differenze individui tra l’approccio americano e quello europeo alla musica moderna?
Mi sono trasferito in America in quanto ritenevo di non poter imparare altro restando in Europa. Un mese dopo il mio arrivo negli Stati Uniti ho fatto un tour nazionale di un anno con Les Variations. Parliamo di un Paese con un grande livello di professionalità e che offre enormi opportunità. Quanto consideravamo master recording in Europa là erano infatti solo dei demo. In quel periodo ho quindi firmato un contratto con la Capitol Records, registrato nei suoi studi ad Hollywood con i Toto e alcuni altri grandi artisti, e ho incontrato e collaborato con diverse leggende e diversi miei idoli (Ray Charles, Steely Dan, Richie Havens).

Sono tuoi anche la voce e il basso nell’album Earth di Vangelis. Come nacque questa collaborazione e quali sono i tuoi ricordi di tale esperienza?
Quando gli Aphrodite childs si divisero, Vangelis stava testando alcuni strumenti nello studio della casa discografica La compagnie. Passavo di lì e, incuriosito, sono entrato per sentire e mi ha offerto di unirmi a lui in una jam session. Da quel momento abbiamo collaborato per due anni di seguito, registrato Earth (che avrebbe dovuto essere un gruppo), passando un mese a improvvisare in uno studio, notte e giorno, e tenendo concerti incredibili in luoghi come la Elisabeth Hall di Londra e l’Olympia di Parigi. Ho grandi ricordi di quel periodo, mi sono molto divertito.

Qualche anno dopo riparti a fare il solista, proseguendo in inglese e arriva il successo di Words, diventato un classico ancora oggi suonato in tutto il mondo. Ci puoi raccontare come è nata questa canzone, se ti sei subito reso conto delle sue potenzialità e quali sono state le tue reazioni di fronte alla sua diffusione negli altri Paesi?
La canzone era stata scritta a New York nel 1980. Al mio manager (il leggendario David Krebs) però non piaceva quindi per il momento lasciai perdere. Nel 1981 la registrai di nuovo, con alcuni dei migliori musicisti che c’erano in America. Risultato: entusiasmo pari a zero. Feci successivamente un altro tentativo, con lo stesso esito. Finalmente nel 1982, andando in studio mi dimenticai la chitarra e chiesi al tastierista di imitare una chitarra ritmica: avevamo trovato IL SUONO. L’enorme successo riscontrato fu in effetti una sorpresa.

In Inghilterra Words era stata contemporaneamente proposta dal gruppo The Tremeloes… ma nonostante questo la tua versione originale riuscì a raggiungere la seconda posizione delle Charts britanniche. Una bella soddisfazione…

…E anche molta pressione, ma contento di vedere quella porta finalmente aperta. Da ragazzo, tra l’altro, ero stato un fan dei Tremoloes… Esibendomi alla trasmissione della BBC Top of the pops per sette volte consecutive dovetti ammettere che si trattava di una vera hit. È stato anche magnifico posizionarmi in cima alle vostre classifiche, se non altro per i miei amici italiani che avevano creduto in me fin dall’inizio.

Dopo diversi altri album e singoli – ci ricordiamo ad esempio di Don’t Go, Sahara Night e Stay – negli anni Novanta hai cominciato a scrivere e produrre per altri artisti, andando dietro le quinte. Esiste una formula particolare per diventare un hitmaker e ci puoi dare un giudizio sull’evoluzione del pop fino ai giorni nostri?
Non esiste una formula, solo momenti magici. Relativamente al pop, negli anni ’90 l’industria ha iniziato a chiedere ai compositori di mantenersi estremamente sobri in termini di melodie e accordi, e oggi di grandi canzoni non ne vengono prodotte abbastanza anche perché il flusso creativo è stato brutalmente interrotto. Ad eccezione di qualche nuovo nome, tutti gli altri passano alle cover di vecchi successi.

Infine, quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto finalizzando un nuovo progetto entusiasmante di genere pop-dance. Se andrà a buon fine sarò felice di parlane in una prossima intervista.

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